I bari di Caravaggio

Di crescita artistica meneghina, Michelangelo Merisi da Caravaggio, artista italiano di alto profilo mondiale e di spessore universale immenso, operò nell’Urbe, nella Città partenopea, e nelle isole di Sicilia e di Malta: il suo “nom de plume” ha dato vita ad una corrente artistica tra ‘500 e ‘600 che ha visto Maestri di tutto il mondo utilizzare una luce scenotecnica con osmosi antropomorfiche, emozionali ed introspettive nei tratti e nelle forme. Dell’opera “I bari”, un olio su tela della pittura di genere realizzato verso la fine del XVI secolo, ne esistono molteplici versioni conservate in diversi Musei, come quella custodita presso il Kimbell Art Museum della cittadina statunitense di Forth Worth e quella conservata presso l’Ashmolean Museum of Art and Archaeology di Oxford, nel Regno Unito. L’expertise di autenticità del dipinto del Museo britannico è stata formulata solamente una decina d’anni fa, nel 2007: il quadro fu di proprietà di Sir John Denis Mahon, un collezionista d’arte inglese che se lo aggiudicò presso la Casa d’Aste “Sotherby’s”. In precedenza si riteneva che la versione del Museo texano fosse stata quella originale, e tutt’oggi la diatriba critico-artistica continua. Storicamente si ritiene che Sua Eccellenza Francesco Maria Bourbon del Monte, Cardinale di Santa Romana Chiesa e appartenente all’omonimo Casato marchionale toscano, ordinò l’esecuzione del dipinto. L’azione scenica ritrae i tre protagonisti intorno ad un tavolo raffigurati “primum” a tre quarti: mentre i due ragazzi gareggiano al proscritto gioco dello “zarro”, il terzo personaggio, più attempato rispetto alla coppia di antagonisti, suggerisce al suo complice il valore delle carte dell’avversario segnalando il 3 con le dita. L’osservatore coglie subito le espressioni impegnate e attente dei protagonisti: il giovane truffato sulla sinistra del dipinto, vestito con una giubba nera e un copricapo scuro, assorto e tranquillo, sta pensando alla mossa successiva; il suo coetaneo, il baro, è guardingo e solerte, e con la mano destra sta prelevando un 6 di fiori dal retro della casacca; il complice con l’“onor del mento”, che esibisce un guanto destro consunto e lacero, è intento a suggerire e a dare direttive sulla partita truccata: entrambi gli impostori indossano scuri copricapi e vesti versicolore in contrasto con l’abito nero del giovane raggirato, segno di differente status sociale. L’imbroglione in verde età porta alla sinistra della cintura uno stiletto, altro simbolo iconico del malaffare, che sembra “bucare” il dipinto, quasi a creare un trait d’union con il parterre degli osservatori. Il tavolo è coperto da un drappo carminio con l’ordito damascato, e sulla sinistra di esso un set ligneo di “Tavola Reale”. Il tramezzo retrostante è lumeggiato da un raggio irradiato plausibilmente da un infisso a sinistra, e la luminosità chiaroscurale risponde ai canoni imposti dalle correnti icastiche della scuola veneta. È altamente verosimile che il Caravaggio abbia voluto lanciare un “caveat” sui rischi del “gambling” basato sulle proprie esperienze di vita, una vera e propria deplorazione sull’immoralità del malvezzo del gioco.

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