L’incontro mensile di Letteratitudini è stato programmato per giovedì 27 Febbraio

Cancello ed Arnone (Redazione) – A tal proposito, dice la coordinatrice del sodalizio culturale, Matilde Maisto, avrei pensato di dedicare la serata al tema: MIGRANTI – LA BARCA DEI SOGNI, facendo riferimento ad un bellissimo articolo che ho recentemente letto su un numero di Internazionale, che si riferisce esattamente al primo capitolo del romanzo “La speranza e altri sogni pericolosi” di Laila Lalami, una scrittrice marocchina che attualmente vive a Los Angeles. Dopo questa prima lettura, che è abbastanza breve, passeremo a parlare del libro di Alfonso Caprio che ripropone il medesimo filone con poesie assolutamente bellissime.
Parlare dei Migranti, oggi, come oggi, continua la Maisto, non è un argomento semplice perché sono tantissimi gli argomenti che si possono sollevare sia di ordine sociologico, che antropologico, che religioso, oltre che politico. Si tratta di un vero fenomeno culturale.
Tuttavia nel nostro incontro noi cercheremo di restringere il campo, mantenendo vivo, invece, l’interesse sulle poesie di Alfonso Caprio che sono veramente emozionanti, brevi, concise, ma molto efficaci.
Un volto. Uno sguardo. E un sogno: abbandonare la miseria, la guerra, la tragedia di un continente sanguinante, per trovare umanità, dignità e speranza.
Ma… è solo di qualche giorno fa una lettera di migranti che si conclude con il seguente appello disperato: “Noi, i rifugiati della Libia, vi chiediamo per favore aiuto. Aiutateci a salvare le nostre vite. Abbiamo un disperato bisogno di trasferimento di emergenza in un rifugio o campo esterno gestito dall’Unhcr, non dai criminali, dove possiamo vivere in sicurezza. Ma soprattutto abbiamo bisogno di maggiori evacuazioni salvavita“.
Sono situazioni così tragiche dinanzi alle quali nessun uomo può restare inerme, e come leggiamo dalla prefazione al libro di Alfonso Caprio, “Porto Schiavetti (Poesie e Migranti)”, scritta da Pamela Michelis, è impossibile, in questa nuova “epoca Buia” che stiamo attraversando, non pensare a due grandi studiosi: Giambattisto Vico e Primo Levi. Distantissimi, temporalmente e come esperienza letteraria, eppure entrambi così profetici nel riferirsi alla storia dell’uomo.
Il primo ha dato vita ad una sua teoria che spesso sentiamo riproporre durante le analisi sociologiche, ossia quella dei corsi e ricorsi storici: le vicende, infatti, sintetizzando profondamente, tendono a ripetersi, come se l’agire umano – anche quando differente nei contorni o nella sostanza – si perpetuasse nei tempi quasi a sottolineare per estensione l’implicita condanna dell’uomo a non imparare mai dai suoi errori.
Dopo tale premessa è doveroso ricordare la Storia dell’emigrazione italiana, precisando che con la Grande emigrazione a partire dal 1861 intere cittadine, come Padula in provincia di Salerno, videro la loro popolazione dimezzarsi nel decennio a cavallo tra ‘800 e ‘900. Di questi quasi un terzo aveva come destinazione dei sogni il Nord America, affamato di manodopera. A partire non erano solo braccianti. Gli strati più poveri della popolazione in realtà non avevano di che pagarsi il viaggio, per questo tra gli emigranti prevalevano i piccoli proprietari terrieri che con le loro rimesse compravano casa o terreno in patria. New York e gli States le destinazioni più gettonate.
Il secondo, continua Pamela Michelis, dalla drammaticità dell’esperienza inumana dei campi di concentramento, ci ricorda come sia tragicamente facile dimenticare e veder ripetersi il Male, nelle sue molteplici, subdole e insidiose forme. (Nonostante, puntualmente nelle varie occasioni venga ripetuto “Per non dimenticare”).
Tramontato è il sole.
Partiamo speranzosi.
Il rosso plenilunio
della silente luna
sbianca le stelle,
inondando di luce
la spiaggia salmastra
della deserta riva.
(La partenza – VI)
Il pensiero va a loro durante la lettura del testo di Alfonso Caprio e mille sono le domande che ci poniamo: come facciamo a non capire? a non ricordare? a non essere consapevoli? Come facciamo a girare lo sguardo, a non provare nulla?
Odo lontano
il mormorio della vita,
che riprende il cammino.
Come una preghiera,
che nasconde il futuro.
(L’affondo – V)
Alfonso Caprio si pone questi interrogativi e lo fa con una raccolta che suddivide i componimenti in tre parti, rivisitazione di un Inferno, Purgatorio e Paradiso di dantesca memoria: La partenza, L’affondo, L’approdo.
Ogni parte è composta da dieci componimenti, numero che non crediamo sia stato scelto a caso. Dieci sono i Comandamenti dati da Dio; Dieci è numero divino poiché perfetto, in quanto riunisce in una nuova unità tutti i principi espressi nei numeri dall’uno al nove.
Ogni parte della silloge rispecchia un movimento emotivo in crescendo, raggiungendo un picco e ridiscendendo, proprio come queste onde che travolgono e spesso uccidono. Sono poesie brevi, con versi minimi, in cui l’essenzialità sembra rispecchiare la voce sommessa di questi ultimi travolti dal comune sentire più che dagli eventi.
La poesia, dunque, diventa non solo un modo per non dimenticarli, ma addirittura per tenerne viva la memoria e la presenza, con la speranza che tutto ciò possa incentivare un cambio di rotta in questo mare di desolazione umana.
Ma perché “Porto Schiavetti” – chiediamo ad Alfonso Caprio.
Porto Schiavetti – egli dice – è il toponimo di una riva della sponda sinistra del fiume Volturno nel territorio comunale della città di Castel Volturno, in provincia di Caserta: qui venivano sbarcati, in epoca romana, gli schiavi che lavoravano nelle tante fattorie sparse nell’ampia pianura di Terra di Lavoro. Ancora oggi, come allora, migliaia di extracomunitari di colore, soprattutto irregolari, giungono a Castel Volturno dal cuore dell’Africa in cerca di una vita diversa e migliore e si stabiliscono, molti clandestinamente, nelle numerose seconde case estive, sorte lungo tutta la costa domiziana negli ultimi anni del secolo passato.

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