Risorgimenti a confronto: convegno al Museo Campano di Capua

In un’Italia in piena crisi d’identità, dove forse s’è fatto il territorio ma non s’è fatta “la popolazione”, dove prima si attaccavano i cartelli “non si affitta ai terroni” e poi siamo passati al “siamo stanchi di mantenere il sud”, per poi venire addirittura nelle nostre città a chiedere i voti, è molto attivo il fronte del revisionismo risorgimentale. Anche il sottoscritto, come giornalista, nonché come ricercatore e divulgatore storico, sebbene attivo sul fronte del ‘900 e delle due guerre mondiali, nutre parecchi dubbi su ciò che sta accadendo da anni. Il dibattito, oramai arrivato fin dentro le aule universitarie ed il mondo politico-istituzionale, è troppo spesso affrontato in modo confusionario e con posizioni tanto discordanti da rasentare il tifo calcistico, forse per impedire, in qualche caso, una precisa analisi e comprensione del fenomeno storico che ci ha portati fino alla modernità del nuovo millennio passando per il terribile momento della Seconda guerra mondiale e la seguente trasformazione in Repubblica. Forse è il caso di ascoltare con attenzione entrambe le voci per avere un quadro chiaro della situazione e poter, da lettori informati, scegliere quale sia la versione dei fatti più oggettivamente plausibile. Lungi da me ovviamente, essendo giornalista e quindi aderendo all’etica professionale, mostrare il proprio personalissimo pensiero. Lo scopo di questo articolo, nonché dei seguenti che verranno pubblicati lasciando adeguato spazio di replica, è solo quello di provare a comprendere meglio le ragioni di un fenomeno in continua espansione grazie alla potenza dei social.
Iniziamo oggi, anche considerando l’importante convegno sul Risorgimento, che si terrà il 7 settembre a Capua presso il Museo Campano, intitolato «Risorgimenti a confronto: il processo unitario visto con gli occhi dei suoi protagonisti.», ad ascoltare le ragioni di chi combatte questo revisionismo storico colloquiando con il dott. Giovanni Valletta, responsabile dei Comitati Provinciali dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano (a livello nazionale). Nel ringraziarlo per aver accettato questa intervista, che prova a gettare serenamente un po’ di luce sull’argomento, gli chiediamo subito «come e quando nasce il fenomeno del revisionismo risorgimentale. È sorto, per caso, in contrapposizione politica al serpeggiante razzismo del partito politico che tanto “disprezza il sud”, la Lega? O è un dato assolutamente indipendente dalla questione politica degli ultimi 2 decenni?»
[dott. Valletta] In primis, grazie a lei per aver scelto di trattare una questione così complessa. I toni assunti da alcuni partiti politici hanno certamente avuto un ruolo importante nel diffondere tesi revisioniste, ma si tratta di un fenomeno che non ha una sola ed unica causa. Hanno certamente inciso anche la scarsa considerazione che, molto spesso, l’intera classe politica ha mostrato nei confronti del meridione e, come ricordava Galasso, la crisi che, a partire dalla seconda metà del 900, ha colpito l’idea ed il concetto di nazione. In questo modo, è facile farsi catturare da nostalgie del passato.–
Le analisi storiche, si sa, sono spesso scritte dai vincitori, un assunto che nel caso del revisionismo, oggi presente anche per ciò che concerne la Seconda guerra mondiale, tende a giustificare eventuali tesi non propriamente supportate da documenti e testimonianze. «Quali sono le basi fondanti, quindi certe, che i revisionisti attaccano e con quali documentazioni, testimonianze o evidenze generali rifiutano la realtà storica attualmente consolidata?»
[dott. Valletta] Il fenomeno revisionista, come detto in precedenza, è un fenomeno complesso che, pur avendo una sua significativa declinazione nel movimento neoborbonico, ha attecchito radici anche al Nord.
I revisionisti si limitano a fare affermazioni non supportate da documenti; i loro articoli, quasi sempre, non hanno la bibliografia né riportano riferimenti archivistici o, in alcuni casi, citano documenti estrapolandoli del tutto dal loro contesto storico e, dunque, utilizzandoli per conclusioni di parte. Questa è la ragione per cui la storiografia non individua in questi revisionismi degli interlocutori scientifici seri ma, al massimo, un fenomeno sociologico interessante da studiare, come scritto anche da Barbero. —
A questo punto non c’è che fare una cosa. Proviamo a metterci nei panni dei revisionisti e punzecchiare il dott. Valletta. «Come si spiega il sempre crescente divario che dal risorgimento in poi, quindi dal completamento del processo di unificazione della penisola, ha continuamente permeato e offuscato tutte le potenzialità del sud? Davvero è tutta colpa dei fannulloni e dei corrotti mafiosi e camorristi del Regno delle Due Sicilie?»
[dott. Valletta] Non cadiamo negli stereotipi. Nord e Sud erano notevolmente differenti già al momento dell’Unità; una differenza frutto di percorsi storici differenti che, nel corso dei secoli, li aveva coinvolti.
Il Mezzogiorno, lungi dall’essere un paradiso in terra, come molti vorrebbero far credere, risultava essere un Regno arretrato e solo alcune zone avevano conosciuto uno sviluppo economico significativo.
Se teniamo conto, poi, per esempio, delle modalità di coltivazione, delle infrastrutture, delle strutture creditizie, ci renderemo conto di come la divaricazione fosse ben evidente e marcata già al momento dell’Unità.
Spesso i neoborbonici fanno riferimento ai primati del Regno delle due Sicilie, primati mai negati, quando veri, dagli storici, ma non sufficienti. Se volessimo considerare il caso della prima ferrovia, possiamo dire che un Regno può dirsi ricco e sviluppato solamente se, dopo aver costruito la prima strada ferrata, associa a tale primato una politica di investimenti nelle infrastrutture significativa e che possa favorire il commercio e l’intera economia. In definitiva, valutare la ricchezza di uno stato significa analizzare numerosi e differenti dati, come la storiografia fa da anni; in caso contrario, si avrebbe solamente una visione faziosa ed incompleta. —
Ci avviamo alla conclusione di questa breve ma intensa intervista, cui per par condicio ne seguirà certamente una uguale alla controparte, lasciando al dott. Valletta uno spazio per spiegarci meglio perché dovremmo partecipare all’evento del 7 settembre. «Cosa apprenderanno i cittadini durante la manifestazione al Museo Campano?»
[dott. Valletta] La manifestazione, che si svolgerà nel corso di due giornate, vuole promuovere un dibattito sul risorgimento, un dibattito serio, costruttivo e, soprattutto, scientifico. Ci auguriamo, anzi, che l’affluenza sia notevole proprio per far sì che dubbi, interrogativi e tanto altro sul risorgimento possano essere fugati da chi, come il Professor Monsagrati ed il Professor Pinto, da anni studia il risorgimento che, diversamente da quanto si crede, rappresenta ancora oggi un argomento dibattuto dagli storici. —
Ringraziamo il dott. Valletta per la chiacchierata e invitiamo i cittadini, con spirito oggettivo, ovvero ascoltando tutte le versioni, ad informarsi in modo più approfondito anche partecipando a convegni che di certo non possono far altro che rendere più fruibile la cultura storica.

Condividi questo articolo qui:
Stampa questo post Stampa questo post