Trieste è italiana!

Trieste ritorna all’Italia e l’Italia ritorna a Trieste, con la bandiera tricolore. Dopo nove anni, cinque mesi e dieci giorni di occupazione anglo-americana. Verso mezzogiorno del 26 ottobre 1954, sotto una pioggia battente, ormeggiarono, nel Porto della città giuliana, le prime unità della Marina Militare (i Cacciartorpedinieri “Bersagliere” e “Grecale”), una volta firmato, il giorno 5 di quello stesso mese, il Memorandum di Londra, cioè l’intesa definitiva tra Italia e Jugoslavia.
Dell’esito del negoziato, scrisse l’Onorevole Paolo Emilio Taviani, allora Ministro della Difesa, nel suo “Diario 1953-1954”: “Gli inglesi dell’Intelligence Service mi hanno confermato le notizie comunicate dall’Istituto Luce. Le trattative con Tito sono praticamente sbloccate. Gli esperti ne attribuiscono il merito al Generale Montgomery. L’Istituto Luce, l’altro giorno, lo attribuiva, invece, agli aiuti economici nordamericani. Comunque pare che ormai sia stato accolto il principio di una provvisoria soluzione di fatto: Zona A all’Italia e Zona B alla Jugoslavia. Qualche rettifica, affinché Tito possa salvare la faccia, avendo detto che non accettava la decisione alleata di ottobre e che sarebbe entrato in Zona A; e affinché i triestini abbiano qualche soddisfazione in Zona B. Ho insistito su San Nicolò. Ma Tito, mi si è obiettato, ha “il complesso del mare”. Tito o gli sloveni? Gli uni e l’altro. Ciò che conta, comunque, è che Trieste torni al più presto all’Italia. Trieste tutta intera, con Opicina e con Zaule e senza corridoi, alla Danzica, fra Trieste e Monfalcone”.
I triestini erano tornati liberi in una giornata indimenticabile. Un’esplosione di incontenibile amor patrio suggellò la fine dell’amministrazione militare alleata e l’inizio di quella italiana.
Le truppe angloamericane si ritirarono ed i pieni poteri passarono nelle mani del Generale Edmondo De Renzi, rappresentante ufficiale del governo italiano. In piazza Unità d’Italia, lungo le Rive, sul molo Audace, per le strade, lo sventolare di migliaia di tricolori ed un solo grido: “Italia, Italia”. Erano trascorsi, per l’appunto, più di nove anni da quando, il 1° maggio 1945, i partigiani di Tito, negli ultimi giorni di guerra, entrarono in città, decisi a rimanervi e con l’intenzione di far arretrare il confine italiano fino all’Isonzo, se non fino al Tagliamento. Solo dopo delicate trattative con gli anglo-americani, gli Jugoslavi si ritirarono, sulla base di una spartizione provvisoria che assegnava al controllo degli Alleati la cosiddetta Zona A (comprendente Trieste, una parte del Carso e Gorizia) e una fascia di territorio, compreso tra il vecchio confine del 1915 e gli altipiani a sinistra dell’Isonzo, sotto l’amministrazione titina, denominata Zona B, provvedimenti ratificati con il Trattato di Parigi, il 10 febbraio 1947. Trieste era diventata una “città stato indipendente”, sotto la protezione delle Nazioni Unite, con il nome di “Territorio Libero di Trieste” (TLT). Si pensi che solo il 10 novembre 1975, con il “Trattato di Osimo”, vicino ad Ancona, furono delineati definitivamente i confini nazionali. Il popolo triestino aveva già provato, in passato, l’esperienza della liberazione, quando il 3 novembre del 1918 le Navi “Audace” e “Grecale” erano entrate nel porto, al termine del primo conflitto mondiale.
Ma il 26 ottobre 1954, nell’angolo più settentrionale del Mediterraneo, su quell’Adriatico tanto amato e cantato da Gabriele D’Annunzio, terminava l’aspro contrasto politico, economico e, per un doloroso triennio, anche bellico, tra l’Italia ed il declinante, ma sempre potente, Regno Unito. Contrasto che aveva diviso l’Italia e la Jugoslavia di Tito e che portò quasi duecentomila italiani a vivere in territorio straniero.
Il grande giornalista Giorgio Bocca, inviato della “Gazzetta del Popolo”, quotidiano torinese, scrisse: “Vissi quella giornata con molta preoccupazione. Mi dava l’impressione che si stava celebrando una soluzione, tutto sommato, non risolutiva della tragedia giuliana. Si trattava di un successo dentro una grandissima sconfitta e questo dava un certo senso di amarezza, per cui i festeggiamenti sembravano, a me, dei festeggiamenti un po’ “obtorto collo”, anche se i triestini erano contenti. In ogni caso gli italiani, salvo la retorica nazionalista e fascista, non hanno mai capito il dramma di Trieste e non hanno mai voluto occuparsene. Questo perché era un dramma irrisolvibile. C’era Trieste e c’erano tutte le città italiane dell’Istria, circondate da popolazione slava. Era un po’ come l’Algeria; quando andava via uno e arrivava l’altro. Per gli italiani era difficile capire ciò. I triestini, avendo vissuto sulla loro pelle quei drammi, tendevano molto all’estremismo, con un odio di razza che gli italiani non capivano”.
In definitiva, “La questione di Trieste” incrocia un elastico approccio storico e categorie concettuali, proprie dello studio delle relazioni internazionali, costituendo un valido strumento per comprendere una delle vicende che più hanno inciso sulla recente storia italiana e per riflettere sul ruolo che questa città di cortina, troppo diversa, ha ricoperto, ricopre e sempre ricoprirà, alla quale il Friuli è stato involontariamente legato nel 1948, con la costituzione della Regione Friuli-Venazia Giulia.

Condividi questo articolo qui:
Stampa questo post Stampa questo post