Sylvia Plath: Tutte le poesie a 50 anni dalla morte

In una delle tante foto circolate nelle recenti settimane in rete e sulla carta stampata, si osserva Sylvia Plath in una foto – ritratto familiare, assieme al marito Ted Hughes e ad uno dei figli, ancora in fasce; se ne percepisce un’atmosfera idilliaca tutta felicità ed armonia, che ingannerebbe chi non conoscesse le vicende della scrittrice e poetessa statunitense. La donna radiosa e sorridente di quello scatto in bianco e nero, come è noto, alla precocissima soglia dei trentun anni decise  l’abbandono di questa vita attraverso il gas del forno della propria cucina, non prima di aver preparato la colazione per i due figli che ancora dormivano. A 50 anni dalla scomparsa, Mondadori, con gli auspici precedenti di tantissimi lettori, ha appena pubblicato in un unico volume Tutte le poesie. Sylvia Plath rientra in quella corolla di poeti strattonati e ridotti a brandelli intimi da un male esistenziale che non cedette loro mai tregua, ma che per paradosso raffinò anche i suoi versi di un coraggio irriducibile, dinanzi ai ghigni impietosi di quella forza oscura. Quel coraggio che, anziché scegliere il titanismo, la rese moglie e madre, in alternanza tra il rispetto del ruolo femminile canonico, cinturato degli anni ’50 e la tensione verso un’esistenza impetuosa, quasi post-romantica, di donna dotata di sconfinato talento, indifesa interprete delle lame che spuntavano nei suoi giorni; le stesse cui cedette e oltre le quali, postumi, sarebbero arrivati i vari riconoscimenti letterari, tra cui il Pulitzer per la Poesia nel 1982. Oltre i componimenti in versi, la scrittura in prosa de La campana di vetro, allusione alla campana pseudo – progressista dell’America dei tempi, che accartoccia gli aneliti autentici e li soffoca con la scontatezza imborghesita (il romanzo è del 1963, uscì un mese prima che tutto finisse). Il punto nevralgico della scrittura della Plath è la riconferma ad oltranza della condizione di donna, più che di intellettuale o di scrittrice, il modo più utile per sussurrare i propri versi avendo dinanzi gli spettri della sofferenza interiore, della depressione e della resa nei confronti di una società che, forse, già in quei fiammanti anni ’50 iniziava a creare il mito di sé mentre l’individuo vedeva la crisi all’orizzonte, neanche troppo distante.

Condividi questo articolo qui:
Stampa questo post Stampa questo post