Cena in Emmaus

La National Gallery della londinese Trafalgar Square nel Regno Unito conserva preziosissime raccolte d’arte dall’anno 1100 a seguire: tra di esse la “Cena in Emmaus” del pittore di rinomanza planetaria Michelangelo Merisi da Caravaggio, dipinta agli inizi del XVII secolo. San Luca Evangelista di Antiochia di Siria, nel suo Vangelo, scrive: “in quello stesso giorno due […] erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò […]. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. […] Quando fu a tavola […], prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono […] gli occhi e lo riconobbero”. L’opera del pittore lombardo ritrae questo momento: l’attimo in cui San Cleofa e, verosimilmente San Giacomo di Zebedeo di Betsaida, ravvisano nel giovane sconosciuto il Redentore sorto a nuova vita. Il Messia è raffigurato nel fiore dell’età con lineamenti euritmici, una lunga chioma scura e indossa una tunica purpurea con una bianca clamide. I due uomini invitano ignari il forestiero al pasto della sera, ma quando Egli invoca la benedizione di Dio con la consacrazione del pane e del vino, si rendono conto della sua identità. Il discepolo Cleofa seduto alla destra del Salvatore, stupefatto ed interdetto, sta per alzarsi reggendosi all’appoggio della sedia; il discepolo alla destra del quadro tocca la spalla del Figlio di Dio allargando entrambe le braccia, e la persona all’impiedi, verosimilmente un locandiere, osserva colpito gli eventi guardando il Messia. Il Caravaggio mostra in questo dipinto virtuosismi chiaroscurali di altissimo livello, con riverberazioni, riflessi di luce ed effetti di deviazione delle onde rifratte: la viride Pulcianella tondeggiante e il bicchiere poggiati sul tavolo proiettano le semioscurità delle loro ombre sul bianco mantile, che copre un drappo con repertori ornamentali geometrici nell’ordito. La brocca e la coppa, insieme ad un orciolo di creta verde, fanno parte integrante di una superba “natura morta” poggiata sul tavolo: in primo piano un corbello colmo di frutta, dipinta con grande perizia e realismo, come si desume dall’ascomicete dei pomi. Un pollo intero al forno è poggiato su un piatto da portata, una ciotola è posta innanzi all’uomo con la “Concha” da pellegrino del Cammino di Santiago, e ogni commensale ha il suo pezzo di pane. Esplicito il significato della presenza dell’ombra di una pinna caudale, un’evidente teofania: intuitivo è il riferimento traslato della voce “pesce” al lemma ellenico “Ichthús”, il cui acronimo nasconde l’espressione “Iesûs Christòs theû huiòs soter” (Gesù Cristo, figlio di Dio, Salvatore), quindi una ierofania della deità al genere umano. Le tinte utilizzate sono calde, e il rosso, nelle sue nuance più eterogenee, colpisce immantinente l’osservatore. La parete posteriore presenta sfumature luminescenti e ombreggiature caratteristiche della pittura veneta, inoltre tutti i commensali sono irradiati da una sorgente luminosa “posta” in cima al dipinto.

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