Il consumismo basato sul materialismo è garanzia di libertà o schiavitù?

Con queste brevi righe, la scrivente vuole invitare i lettori ad una meditazione su una sola tipologia di beni e cioè quelli materiali, o meglio ancora, quei beni non essenziali di cui possiamo anche fare a meno ma la voglia di acquistarli è talmente forte e potente da offuscare la nostra mente, rendendola schiava con il loro acquisto e perdendo così la libertà.
La nostra è una società di consumi, dove noi cittadini-consumatori siamo sempre più inclini ad acquistare beni materiali per soddisfare i nostri bisogni. Più acquistiamo più siamo felici, questa è la regola che vige nel nostro inconscio.
Degne di nota sono le parole famosissime di Victor Lebow in un articolo dal titolo “Price competition in 1955” sul Journal of Retailing. In quell’articolo, Lebow scrisse: “La nostra economia incredibilmente produttiva ci richiede di elevare il consumismo a nostro stile di vita, di trasformare l’acquisto e l’uso di merci in rituali, di far sì che la nostra realizzazione personale e spirituale venga ricercata nel consumismo. […] Abbiamo bisogno che sempre più beni vengano consumati, distrutti e rimpiazzati ad un ritmo sempre maggiore. Abbiamo bisogno di gente che mangi, beva, vesta, cavalchi, viva, in un consumismo sempre più complicato e, di conseguenza, sempre più costoso. Gli utensili elettrici domestici e l’intera linea del fai-da-te sono ottimi esempi di consumo costoso”.
Ancor più forti e tremendamente attuali furono le parole pronunciate centoventun anni or sono, dall’economista e sociologo statunitense Thorstein Bunde Veblen che, nel 1899, nel suo famoso saggio dal titolo “Theory of the leisure class”, parlò – esaminando lo stile di vita delle classi agiate statunitensi – di “consumo vistoso”. Secondo Veblen, il concetto di consumo vistoso o ostentativo nasce dall’attitudine dei consumatori ad acquistare beni materiali non tanto per necessità ma per sentirsi attribuire, da altre persone, lo status di classe agiata.
Queste parole scritte nel lontano 1899 risuonano come un rimbombo nelle mie – ma spero anche nelle vostre – orecchie, quasi come se fosse una predizione del futuro.
Fa uno strano effetto pensare a quanto quel concetto di consumo vistoso, così ben espresso da Veblen, sia ancora fortemente vivo nell’attuale società.
In altre parole, il consumismo inteso come accezione legata e basata sul materialismo ha come obiettivo quello di spingere la mente umana al consumo e alla dipendenza dai beni materiali. Le persone-consumatori vanno sempre alla ricerca di beni nuovi, sostituendo quelli vecchi – sia pur non necessaria tale sostituzione – andando così a sposare la cultura dello scarto consistente nel rimpiazzare il bene vecchio e inutile con uno nuovo, solo per il gusto di avere il bene all’ultima moda. Per esempio, butto il cellulare X – funzionante, comprato da meno di un anno – per comprare il cellulare Y appena uscito in commercio.
Questa rincorsa all’acquisto dei beni materiali sempre più nuovi – sia pur spesso inutili – non è solo e proprio dei paesi più sviluppati ma è una moda che tutto il mondo segue perché indotto dalla pressione della pubblicità e da fenomeni d’imitazione sociale diffusi tra ampi strati della popolazione. Ed è proprio tra i ceti meno abbienti che abbonda l’ideologia del consumismo fondato sul materialismo ma ciò solo per farsi attribuire “dagli altri” lo status di “agiato”. Questo è triste perché l’essere in possesso di nuovi beni di consumo non significa essere agiati ma è l’ennesima dimostrazione della insicurezza delle persone e della loro poca autostima proprio perché ritengono che quella felicità – tra l’altro illusoria – prodotta dall’acquisto di quel bene di consumo sia sinonimo di agiatezza.
Ecco che gli aumenti eccessivi nell’acquisto di questi beni, pur portando benefici all’economia del Paese, provocano comunque una privazione della libertà perché ci rendono schiavi dell’acquisto superfluo e inutile.

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