Obiettivo raggiunto

“Operato questa mattina. Diagnosi non ancora completa, ma i risultati sembrano soddisfacenti e al di là di ogni aspettativa. Necessario comunicato per la stampa locale, dato che l’interesse si allarga a grande distanza. Il Dottor Groves è contento, torna domani. La terrò informata”.
Con questo messaggio in codice, ricevuto alle 19,30 del 16 luglio 1945, il Segretario alla Difesa americano, Henry Stimson, fu informato che l’esperimento, denominato in codice “Trinity”, aveva funzionato: la prima bomba atomica della storia, l’applicazione bellica delle teorie di Albert Einstein e di Enrico Fermi, era esplosa, con successo, alle 5,29 del mattino, ora locale, nel deserto del Nuovo Messico, a Los Alamos. Il mondo, che dal quel momento entrò nell’era nucleare, non sarebbe mai più stato lo stesso.
Stimson aveva ricevuto quel cablogramma in una villa di Babelsberg, vicino a Berlino, dove si trovava per partecipare alla “Conferenza di Potsdam”, l’ultimo incontro tra i vertici di Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione Sovietica, le tre nazioni che avevano sconfitto la Germania e che ora si apprestavano a dare il colpo di grazia al Giappone, per chiudere vittoriosamente la Seconda Guerra Mondiale.
Il Segretario si affrettò a informare Harry Truman, l’uomo che dopo la morte di Franklin Delano Roosevelt aveva occupato la Casa Bianca. “Mi sento bene”, commentò il Presidente, “mi ha tolto un gran peso”. E poi raccontò una barzelletta.
A quel punto, non restava che informare Winston Churchill, il Primo Ministro britannico e Iosif Stalin, il Capo Supremo dell’URSS. Si decise, alla fine, di tenere i sovietici all’oscuro, visto che i loro rapporti con gli Alleati si stavano precipitosamente deteriorando, verso quella sorta di diffidente e instabile pace armata, che sarebbe passata alla storia con il nome di “Guerra Fredda”.
Stalin, però, era già a conoscenza dell’accaduto. Uno dei matematici più brillanti del “Progetto Manhattan”, nome in codice del programma atomico, era Klaus Fuchs, un profugo tedesco con cittadinanza britannica, che lo storico Stephen Walker, nel libro “Appuntamento a Hiroshima”, così descrive: “Un entusiasta ballerino di valzer, un appassionato di jazz, uno bambinaio molto affidabile”. Fuchs, però, era soprattutto una spia sovietica che aveva, e avrebbe, fornito a Mosca tutte le informazioni utili sul programma nucleare americano, fino al momento del suo arresto, nel gennaio del 1950.
Tra le notizie che Fuchs passò ai sovietici, ci fu, sicuramente, anche quella relativa all’incredibile potenza distruttiva della nuova arma. La bomba sperimentale esplosa nel New Mexico era conosciuta dagli addetti ai lavori come “l’Aggeggio”, ma aveva anche altri soprannomi, quali “Bestia”, “Ordigno”, “Congegno” o, anche più semplicemente, “Quello”.
Si presentava come una sfera, pesante cinque tonnellate, con un nocciolo di plutonio e uranio circondato da 2.406 chilogrammi di esplosivo convenzionale, sistemato in un ricovero di lamiera ondulata, posizionato su di una torre alta trenta metri. La detonazione, telecomandata via cavo da un bunker sistemato a chilometri di distanza, aveva vetrificato la sabbia desertica su di un’area di 400 metri di diametro intorno al punto dell’esplosione, chiamato Ground Zero, lo stesso nomignolo che 56 anni dopo sarebbe stato dato all’area di New York, dove sorgevano le Torri Gemelle.
In un raggio di 1.600 metri ogni forma di vita era stata annientata. Aveva sviluppato una temperatura di milioni di gradi centigradi, “diecimila volte più calda”, scrive Walker, “della superficie del sole”. Aveva prodotto un‘onda sonora che frantumò le finestre di edifici lontani 200 chilometri. E, subito prima che le polveri e il fumo si alzassero a formare il primo fungo atomico della storia, aveva dato origine a una luce così forte da essere percepita, come un lampo prolungato, da una ragazza cieca di nome Georgia Green, che viaggiava in automobile, a 75 chilometri da Ground Zero.
“Dobbiamo tenere segreta l’intera faccenda”, furono le prime parole che, dopo l’esplosione, pronunciò il Generale Leslie Groves (il Dottor Groves del messaggio di cui si è detto all’inizio), l’infaticabile, irascibile, sospettoso, a volte semi-paranoico responsabile militare dell’intero “Progetto Manhattan”, l’ufficiale del Genio arrivato al programma atomico dopo essere stato direttore dei lavori del Pentagono, la nuova sede del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. Al che, un altro ufficiale rispose: “Signore, credo che il rumore sia stato udito in almeno cinque Stati”.
Più pertinente fu il commento che Kennneth Bainbridge, direttore del test “Trinity”, fece a Robert Oppenheimer, fisico geniale e tormentato, dall’aspetto cadaverico che era il direttore scientifico dell’intero progetto: “Oppie, ora sì che siamo tutti figli di puttana”.
Un giudizio, quello, che gli abitanti giapponesi di Hiroshima e Nagasaki si sarebbero trovati ben presto a condividere.

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