Prostituzione: un colpo di piccone (2a parte)

Nel 1963 la legge fu investita della questione di “legittimità costituzionale”, ma i giudici reputarono corretta la formulazione della norma. Dagli anni ’80, nel dibattito politico sono state numerose le richieste di abrogazione o di modifica per un provvedimento che inevitabilmente, quando fu stilato, non poteva tener conto, ancora, di temi come l’immigrazione clandestina, la tratta di donne e di minorenni, lo sfruttamento delle organizzazioni criminali.
Nel 2013, sulla Gazzetta Ufficiale della Corte Suprema di Cassazione è stato pubblicato un quesito referendario di abrogazione, promosso da diversi sindaci italiani. Ma la proposta si è arenata, perché mancava il numero necessario per la proposizione del referendum. Alcuni comuni italiani hanno provato a limitare la prostituzione sulle strade, con ordinanze che prevedevano pesanti multe per i clienti, con possibile arresto, in flagranza, da parte della Polizia Municipale. Ma queste misure sono sempre state ritenute incostituzionali e le sanzioni invalidate da successive sentenze.
“Ah! Questo è un Paese di viriloni, che passano per gli uomini più dotati del mondo e poi non riescono a conquistare una donna da soli! Se non gli riesce di conquistare le donne, a questi cretini, peggio per loro”, come riportato da un’Intervista alla Merlin, realizzata da Oriana Fallaci e pubblicata da “L’Europeo” nel 1963.
Nel 2014, il PD ha presentato un disegno di legge per regolamentare il fenomeno, ma l’iniziativa non ha avuto seguito. La proposta, avanzata da Pierpaolo Vargiu, di Scelta Civica e da Maria Spilabotte del PD, con le firme di esponenti di diversi schieramenti, aveva tra i punti chiave l’abolizione del reato di favoreggiamento della prostituzione e, di fatto, la riapertura delle case chiuse, dando la possibilità, alla singola lavoratrice o un gruppo di più persone, di affittare un appartamento alla luce del sole e di svolgere quindi il mestiere in un luogo certamente più sicuro, che non il marciapiede. Si parlava dell’obbligo dell’uso del profilattico, del pagamento di tasse e della comunicazione dell’inizio della propria attività alle Camere di Commercio, corredata da un certificato di idoneità psicologica, ottenuto presso una qualsiasi azienda sanitaria locale. La legge prevedeva inoltre il pagamento anticipato di seimila euro per l’esercizio full-time e di tremila per quello part-time. Sul piano penale, i reati da punire erano quelli di sfruttamento della prostituzione, costrizione violenta alla prostituzione e organizzazione del traffico internazionale.
In passato, un decreto del 1859, voluto da Cavour, autorizzava l’apertura di case controllate dallo Stato, per l’esercizio della prostituzione in Lombardia. Nel febbraio del 1860 il decreto fu trasformato nella Legge “Regolamento del servizio di sorveglianza sulla prostituzione”, che fissava le tariffe e altre norme, come la necessità di una licenza per aprire una casa e di controlli medici da effettuare alle prostitute per contenere le malattie. Il testo definitivo, approvato nel 1888, vietava l’apertura di case di tolleranza in prossimità di luoghi di culto, asili e scuole e imponeva che le persiane dovessero restare sempre chiuse (da qui il nome di “case chiuse”). L’unica variazione rilevante si ebbe con una disposizione di Benito Mussolini degli anni ’30, che imponeva ai tenutari di isolare le case con muri detti “del pudore”, alti almeno 10 metri.
Chi era Lina Merlin? Nata a Pozzonovo, presso Padova, nel 1887, era stata registrata all’anagrafe con il nome di Angelina. Dopo il diploma di maestra elementare, proseguì gli studi in Francia e conseguì l’abilitazione all’insegnamento del francese nelle scuole medie. Si oppose alla Grande Guerra (nel quale persero la vita due suoi fratelli) e nel 1919 si iscrisse al PSI, collaborando ai fogli socialisti “L’eco dei lavoratori e la difesa delle lavoratrici”, fondato nel 1912 da Anna Kuliscioff, con degli articoli sulla condizione delle donne, il loro diritto di voto, il lavoro femminile, la prostituzione. Nel 1926, venne allontanata dell’insegnamento, perché si rifiutò di giurare fedeltà al Regime Fascista e, nello stesso anno, fu condannata dal Tribunale Speciale a cinque anni di confino, che scontò in Sardegna. Nel 1930 si trasferì a Milano, dove si guadagnò da vivere con lezioni private di francese. Durante il confino, in una riunione segreta, incontrò il medico ed ex deputato socialista Dante Gallani, che divenne suo marito nel 1933 (morendo appena tre anni dopo, nel 1936). Partecipò alla lotta antifascista e ospitò nella sua casa diversi incontri clandestini di dirigenti socialisti, tra cui Sandro Pertini. Dopo l’8 settembre 1943, la Merlin prese parte alla Resistenza, donando ai partigiani la strumentazione e i manuali ereditati dal marito e raccogliendo fondi e vestiario per i patrioti. Nel 1944 fu tra le fondatrici dell’Unione Donne Italiane (UDI), di cui fu presidente nel 1947, nel 1949 e nel 1953. Fece parte della Costituente e nel 1948 venne eletta al Senato. Un’altra legge di grande civiltà, de lei voluta con estrema determinazione, portò alla cancellazione, sui documenti anagrafici, della dicitura “N.N.”, che discriminava i figli di genitore non identificato. Nel 1961 si dimise dal Partito Socialista, abbandonando la vita politica attiva e dichiarando che “le idee sono sì importanti, ma camminano con i piedi degli uomini”.
Morì a Padova il 16 agosto 1979.

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