L’inferno di Goutha

Un luogo e dei numeri. Il luogo è Goutha, periferia Est di Damasco. I numeri sono quattrocentomila persone, i suoi abitanti assediati dalla guerra, dai bombardamenti, senza sosta, dell’esercito governativo e dall’aviazione russa. I numeri sono anche i duemila civili morti, vittime delle macerie o massacrati dalle scaglie di metallo delle bombe. È quanto riportano gli oppositori di Bashar al-Assad, i leader della Coalizione nazionale siriana che accusa e inveisce, dall’esilio in Turchia, parlando di “guerra di sterminio e di crimine contro l’umanità”.
E' il caso di ricordare una data, quella del 2014. Fu allora che l’assedio di Goutha, da parte dell’esercito siriano, iniziò. Bisognerebbe contare i giorni, le ore  ed i secondi per capire. Ma forse, soltanto coloro vivono lì possono realmente capire. È l'atavico problema del dolore della guerra, che separa, implacabilmente, le vittime dagli spettatori.
Da sette anni la Siria accumula quei maledetti numeri. Cinquecentomila morti e milioni di rifugiati, l’ammontare di queste distruzioni. E scorrono le immagini di quei luoghi, ad inchiodarci, un’altra volta, alla nostra impotenza. Il fumo dei crolli, le maschere di polvere che emergono macchiate di sangue dalle rovine, corpi straziati, tratti fuori dalle macerie con le mani, con le pale, raspando, bestemmiando dio e gli uomini, invocando vendetta o pietà, le sirene, le urla di chi chiede perché. Già perché? Perché la guerra non finisce, nonostante la proclamata distruzione del califfato, i muscoli della nuova presidenza americana, le ambizioni dell’Europa?
Poi, altre immagini. Di New York, delle Nazioni Unite, delle riunioni furibonde per distillare gli aggettivi e gli avverbi di uno straccio di risoluzione, per un “cessate il fuoco” che tenga conto di tutto, anche degli americani che inveiscono contro il regime di Bashar. Le immagini di Mosca, che dice sì alla tregua, ma vuole garanzie che i miliziani la rispetteranno e che tiene pronto il veto per impedire qualsiasi denuncia che imbarazzi il suo alleato Bashar. Immagini dalla Francia che annuncia, con la comoda retorica dei comprimari, che un mancato intervento dell'ONU, segnerebbe, addirittura, la fine delle Nazioni Unite. Parole, parole, soltanto parole, come sempre! Da sette anni, le Nazioni Unite e l’Occidente non fanno nulla e sono ancora lì, vivacissime nel loro burocratico trafficare col vuoto.
Il Presidente francese e Angela Merkel scrivono una lettera a Putin, chiedendo di appoggiare la risoluzione e di “assumersi le proprie responsabilità”. “È l’ora di agire”, si legge. Mentre Macron annuncia: “Siamo pronti ad accogliere gli evacuati di Goutha”. Ma il regime siriano, metodico, prosegue nella sua campagna di pulizia dell’Ovest del Paese, la parte che gli interessa. Sente la vittoria vicina. Ghouta è una macchia che bisogna cancellare, proprio accanto al cuore del potere. Intanto si procede a scalpellare l’altra slabbratura più a Nord, Idlib, che chiude, fastidiosamente, la via verso Aleppo. Per respingere le accuse che arrivano dall’Occidente e dalle associazioni dei diritti umani, per aggirare l’implacabile orrore dei numeri, duemila morti e cinquemila feriti, e delle immagini, Bashar ribadisce che, a Ghouta, a battersi, facendosi scudo di civili e di edifici come moschee e scuole, sono in realtà, non gli antichi ribelli siriani ma i pestilenziali combattenti di al Qaeda e peggio ancora, l’Isis in cerca di nuovi santuari. Del resto, è questa una tattica vincente, l’argomento con cui Assad e la Russia hanno conquistato, in questi anni, indiscutibili successi.
A chi, attonito, osserva il dispiegarsi dell’ennesimo massacro, non resta che ascoltare i racconti che arrivano, come non verificabili gocce di orrore. Quante volte in questi sette anni ci hanno soffocato, messo di fronte allo scandalo del terzo millennio? Da Homs, da Aleppo, da Raqqa nelle mani dei jihadisti, ecco la guerra che si impadronisce di una città, diventa il pane quotidiano di coloro che, a decine di migliaia, ci vivono: il sibilo degli aerei, i proiettili di artiglieria, i palazzi che si piegano uno sull’altro, nel disperato tentativo di sorreggersi e poi precipitano nella polvere, i forni che non danno più pane, l’acqua che manca, l’elettricità che diventa ricordo, i presidi medici che saltano in aria, l’abitudine infernale del morire.
Quante volte abbiamo ascoltato, dalla Siria, le storie di gente che ha vissuto cinque mesi in cantina con un chilo di riso e mastelli di acqua putrida, le storie della ricerca, frenetica ma inutile, di parenti scomparsi, perché il quartiere dove vivevano è diventato polvere, le storie del cibo che si fa raro e costa una fortuna, perché gli sciacalli crescono attorno a queste tragedie?
Goutha, inesorabilmente, si aggiungerà all’elenco della colpevole impotenza della politica internazionale e, forse, dell'intera umanità. 

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