Se non negoziate, niente aiuti!

Se i palestinesi vogliono continuare a ricevere gli aiuti economici americani, devono riprendere il negoziato. Ma se vogliono davvero la pace, probabilmente dovranno cambiare leadership. L’attacco contro Abu Mazen è stato lanciato ieri, a Davos in Svizzera, sia dal Presidente Trump che dall’ambasciatrice USA all’Onu, Nikki Haley.
Lo scopo era spingerlo al tavolo delle trattative, in vista della proposta che il genero del Capo della Casa Bianca, Jared Kushner, sta preparando da tempo. Però i toni usati lasciano intendere che se non lo facesse, Washington punterebbe alla sua sostituzione. Nelle stesse ore, sempre dalla Svizzera, il premier israeliano Netanyahu ha spiegato la sua visione per il futuro della regione: “I palestinesi possono avere l’autogoverno, ma devono delegare la questione della sicurezza allo Stato ebraico”.   Incontrando Netanyahu, a margine del World Economic Forum di Davos, Trump ha accusato Abu Mazen di aver “mancato di rispetto” agli Stati Uniti, quando la settimana scorsa non ha voluto vedere il Vice Presidente Pence. Lo ha fatto, si dice, per protestare contro la decisione di spostare l’Ambasciata Americana da Tel Aviv a Gerusalemme. Trump ha risposto che con questa mossa si è favorita la pace, invece di farla deragliare. “Nei negoziati precedenti non riuscivamo mai ad andare oltre la questione di Gerusalemme. Ora l’abbiamo tolta dal tavolo, così non dobbiamo più parlarne”, ha precisato Trump. Quindi ha minacciato: “Diamo centinaia di milioni di dollari ai palestinesi. Quei soldi sono sul tavolo, non li riceveranno più se non si siedono a trattare”. Il Presidente USA ha poi detto che la sua proposta di pace sta arrivando ed è una “grande proposta” per i palestinesi. È molto buona anche per Israele, che però “dovrà pagare” per il riconoscimento di Gerusalemme, facendo concessioni nel negoziato. Donald Trump non ha voluto commentare le dichiarazioni di Abu Mazen su di lui, ma si è augurato che “alla fine le teste più fredde prevarranno”.
Proprio nelle stesse ore, con una coincidenza che è difficile considerare casuale, l’Ambasciatrice Haley ha attaccato il leader palestinese durante un discorso all’ONU, affermando: “Ha insultato il presidente americano”. Quindi, esaltando il coraggio che Sadat e Re Hussein avevano avuto nel guidare Egitto e Giordania verso la pace con Israele, si è chiesta, con enfasi: “Dov’è il Sadat e l'Hussein, palestinese?”.  
Lo scopo immediato di questa offensiva è spingere Abu Mazen a tornare al tavolo della trattativa, in vista della proposta di pace elaborata da Kushner. Fonti diplomatiche spiegano che si basa su un approccio regionale, in cui l’Arabia Saudita, in cambio dell’appoggio ricevuto dagli USA contro l’Iran, spingerà i palestinesi ad accettare l’offerta, fornendo forti compensazioni economiche per i territori perduti. Il leader dell’ANP, però, ha risposto così alle dichiarazioni del capo della Casa Bianca: “Se gli USA hanno tolto Gerusalemme dal tavolo, noi toglieremo gli USA dal tavolo”. Una chiusura per ora netta, che sembra cancellare il ruolo di Washington come mediatore. Se non cambierà, gli americani cercheranno di convincere i palestinesi che la leadership di Abu Mazen non è più nei loro interessi. Poco dopo il bilaterale con Trump, in un colloquio con Fareed Zakaria, Netanyahu ha indicato la sua visione per la pace: “Qualcosa di simile a quanto gli USA avevano offerto alla Germania, dopo la Seconda guerra mondiale”. L’obiezione di Zakaria è stata che, senza la creazione di due Stati, Israele dovrà cessare di essere un Paese democratico, per negare ai palestinesi il diritto di influenzare col voto la sua linea politica, oppure di essere ebraico, perché la crescita demografica renderà gli arabi maggioranza. Netanyahu allora ha indicato una terza via: “I palestinesi possono autogovernarsi, ma Israele deve continuare a garantire la sicurezza nei loro confini. Per evitare che finiscano nelle mani dell’Isis, di al Qaeda o in quelle dell’Iran, come era accaduto quando ci ritirammo da Gaza”.
 
 

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