Il grande ospedale alleato operativo a Caserta nel 1944

Caserta città della Reggia, della seta, esperimento settecentesco, territorio ameno, idea illuminata. Una città da raccontare, con una storia complicata, frammentata, mai banale, ricca di episodi spesso dimenticati. Una storia che ci racconteremo tra amici al bar in questo spazio virtuale, tra pacche sulla spalla, ricordi tristi, sorrisi ironici e riflessioni serie. Oggi, dopo ulteriori ritrovamenti di importanti testimonianze fotografiche, vorrei raccontarvi dell’area di San Leucio, quella ferdinandopoli che tutti, giustamente, associano alla seta, all’esperimento sociale che oggi, assurdamente, pare quasi anacronistico in  un’area di ampia crisi occupazionale e, forse, anche morale. Ma è dalla cultura, anche quella della memoria e della curiosità storica, che dobbiamo ripartire. La conoscenza è sviluppo, ma essa si alimenta innanzitutto dell’esperienza, della memoria, delle informazioni stratificate che ci permettono di segnare il punto di partenza. Una delle certezze che dovremmo “mettere in saccoccia” è quella dell’assoluta capacità territoriale di portare le proprie eccellenze ovunque nel mondo, non a caso la famosa seta di San Leucio è presente al Quirinale e in Vaticano, tanto quanto a Buckingam Palace e alla Casa Bianca. Una tradizione fatta di damascati, jacquard e tessuti broccati sviluppatasi nel lontano 1778 grazie alla ferrea volontà di Ferdinando IV di Borbone, il quale ordinò a Francesco Collecini la costruzione della Real Colonia di San Leucio in un borgo, il Belvedere, che godeva di una vista eccezionale come della necessaria tranquillità di cui il Re aveva bisogno dopo la tragedia che lo aveva colpito con la morte, per vaiolo, del piccolo erede al trono Carlo Tito. Un esperimento sociale riuscitissimo, un modello autonomo e perfettamente normato che prevedeva, incredibilmente per quei tempi, la concessione di numerosi benefici ai lavoratori di questa comunità produttiva d’eccellenza. L’oramai famoso “Codice Ferdinandeo”, lanciato nel 1789, quasi in coincidenza con le agitazioni rivoluzionarie francesi che cambiarono l’Europa, rese questo angolo del casertano, oggi Patrimonio Unesco insieme alla maestosa Reggia vanvitelliana, uno dei centri amministrativi e produttivi più all’avanguardia al mondo grazie ad una regolamentazione quasi utopistica e di chiaro stampo socialista. Ai lavoratori veniva concessa un’abitazione dotata di tutti i servizi, ai figli era garantita un’istruzione gratuita e veniva vietato il lavoro al di sotto dei 15 anni, gli orari erano normati per regolare un giusto ritmo tra lavoro e cura della famiglia, e venivano incentivati i matrimoni decretandone il permesso dopo aver ricevuto un attestato di merito, una sorta di diploma nel quale si certificava sia la moralità degli sposi, sia la capacità tecnica di maneggiare il telaio, elemento sempre ricorrente perché fornito, come normale corredo personale, proprio insieme all’abitazione in una sorta di “ora et labora” benedettino applicato industrialmente. Purtroppo conosciamo tutti le vicende borboniche, un sentiero spezzato che non ha mai portato a compimento il proprio percorso ideologico, amministrativo nonché politico, e con l’avvento dei Savoia e, ancor più, del ventennio fascista, il nostro territorio fu sostanzialmente smantellato e ridotto a colonia interna della città di Napoli, tanto che l’unica provincia abolita in tutta Italia, da quel dittatore stranamente ancora molto idealizzato proprio in Terra di Lavoro, fu quella di Caserta. Arrivata la guerra, le sue tragedie, e la cosiddetta liberazione, con la trasformazione della città in retrovia e grande quartier generale degli angloamericani, gli stessi vertici dell’AMGOT (Allied Military Government of Occupied Territories) si trovarono in difficoltà nella gestione territoriale, tanto che a testimonianza di questo problema possiamo ricordare la classificazione di foto e documenti nei quali gli ufficiali erano costretti ad inserire la didascalia “Napoli – Caserta area”, una dicitura che la dice lunga sull’assurdità dell’abolizione di una delle province più ricche dal punto di vista agricolo, territoriale e storico. Ma oggi, invitandovi anche a leggere molte altre curiosità sul mio ultimo libro “La guerra dimenticata” (Boopen edizioni, isbn 978-88-6682-863-1, sito ufficiale della trilogia www.icadutidipietra.it), voglio raccontarvi della presenza di un modernissimo ospedale americano, nel 1944, proprio nel triangolo urbano di San Leucio-Briano-Sala, sostanzialmente nell’area ad ovest del grande parco della Reggia. Parliamo del 3rd General Hospital, struttura mobile impiantata dagli Alleati per sopperire alle necessità mediche di prima e seconda linea, ovvero per curare i militari feriti provenienti dal fronte in risalita verso Roma dopo lo sfondamento della Linea Gustav. L’ospedale da campo, tra l’altro parzialmente inserito anche in strutture fisse già presenti nell’area di San Leucio, quelle precedentemente usate dal nostro esercito come dormitorio e campo d’addestramento, fu trasportato dal porto di Napoli dopo l’attracco della nave “Lincoln Steffens” (classe Liberty) il 5 maggio 1944, montato in tempi record e avviato a funzionare regolarmente per accogliere qualcosa come 1200 pazienti tra francesi e americani (i britannici avevano propri ospedali dove ospitavano anche canadesi e soldati di altre nazionalità). La cosa interessante di questa struttura, oltre il posizionamento geografico attentamente valutato come “rilassante e adeguato alla cura delle ferite di guerra”, è la presenza di tanti strumenti diagnostici all’avanguardia, tra cui le fondamentali attrezzature radiografiche (X-Ray diagnostic machine), di cui poterono beneficiare, in modo spesso evanescente, anche numerosi bambini casertani. Come accaduto in Sicilia, e nel resto d’Italia, anche a Caserta gli Alleati misero in campo ufficiali di origine italiana per facilitare la comunicazione ed i rapporti sociali, e proprio nel 3rd General Hospital di Caserta-San Leucio operò il Capitano di distaccamento Rino Della Vedova, un italoamericano di cui sto seguendo le tracce con grande attenzione per raccontarvi, prima possibile, altri aneddoti interessanti accaduti sul nostro territorio. Importante segnalare che, insieme alle soldatesse del WAC’s (Women’s Army Corps), che operavano all’interno della Reggia di Caserta e nei pressi di Via Roma, spesso viste dai casertani partecipare alle funzioni religiose nella ferita Chiesa dei Salesiani, colpita dal bombardamento del 27 agosto del ’43, le infermiere del “3rd General” venivano premiate con escursioni turistiche a Sorrento, Capri e Ischia dove si intrattenevano simpaticamente con i cittadini locali (vedi foto esclusiva dalla mia collezione privata). Insomma un pezzo di storia che sto ricostruendo, ricca di simpatiche connessioni tra italoamericani, soldati alleati e popolazione locale, che ci darà un quadro più completo e umano delle vicende di una città diventata improvvisamente il più grande quartier generale militare del Mediterraneo, nonché uno dei più grandi campi di riposo, cura e divertimento della Campagna d’Italia. Restate in ascolto, ve ne racconterò delle belle!

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