FAST, una parola per l’ictus

L’ictus è una malattia complessa e pericolosa, che può colpire all’improvviso e che riflette, alla base, un’alterazione della circolazione ematica cerebrale; il danno può essere determinato sia dall’ostruzione alla circolazione a causa di un grumo di sangue sia dalla fuoriuscita di sangue da un vaso nel cervello.   
L’ictus, in Europa, rappresenta la prima causa di disabilità e la sua incidenza aumenta dopo i 65 anni, anche se dati alla mano, si registra un sensibile aumento di casi anche nei giovani, a causa dell’abuso di droghe e alcol. Per quanto riguarda le donne, è necessario rilevare come spesso siano meno attente degli uomini alla prevenzione della condizione, poiché tendono a non controllare come dovrebbero peso e pressione arteriosa, sono più sedentarie e anche quando si rivolgono al medico, tendono a essere vaghe, a minimizzare e quindi anche il personale sanitario non riesce a individuare bene, la presenza di una potenziale situazione di rischio.
Dal rapporto “L’impatto dell’ictus in Europa”, commissionato dall’associazione Safe – Stroke Alliance for Europe, al King’s College di Londra, e recentemente presentato a Roma, è emerso come nei prossimi 20 anni il numero dei casi di ictus nell’Unione europea aumenterà del 34%, ovvero si passerà dai 613.148 casi del 2015 a 819.771 nel 2035.  Ecco dunque che la condizione impone una corretta prevenzione e un trattamento adeguato, anche perché gli studi a disposizione testimoniano chiaramente che la somministrazione tempestiva di un farmaco trombolitico, entro le prime 4 ore e mezza, o di un trattamento endovascolare entro le prime 6 ore, riesce spesso a migliorare la prognosi, nei casi in cui questi trattamenti siano indicati.  La diagnosi dunque deve essere FAST- VELOCE: l’acronimo inglese aiuta a ricordare che in caso di FACE, ovvero di «bocca storta, ARM, braccia deboli che non riescono ad alzarsi, SPEECH, difficoltà ad esprimersi, occorre immediatamente chiamare il 118. Solo così è possibile attivare la rete ictus e far ricoverare immediatamente il paziente in un’unità dedicata, le cosidette Stroke Unit.  Secondo le stime del Ministero della salute, sul territorio italiano dovrebbero essere presenti più di 300 Stroke Units, quindi circa una ogni 200 mila abitanti, ma in realtà sono operative solo 189 concentrate per lo più nel Centro-Nord Italia (secondo i dati disponibili sono effettivamente operative 42 in Lombardia, 5 in Sicilia e nessuna a Napoli).   
Le Stroke Units sono delle unità sub-intensive specializzate nel trattamento acuto dell’ictus; gli studi hanno dimostrato che il trattamento in una Stroke Unit determina un risultato migliore che quello in un’unità non specializzata. “Idealmente, però, una Stroke Unit dovrebbe anche occuparsi della parte riabilitativa, almeno nel primo periodo post-ictus, ma questo raramente accade”, dice il Professor Maurizio Corbetta, Direttore della Clinica Neurologica di Padova. Quindi, non associando una parte riabilitativa alla terapia acuta, una Stroke Unit non offre tutti i vantaggi potenziali a un paziente con ictus”. Sulla stessa linea la dottoressa Francesca Romana Pezzella, dell’Area Ospedaliera del San Camillo – Forlanini di Roma: “Una volta che si riescono a stabilizzare le condizioni cliniche del paziente colpito da ictus, è necessario effettuare una valutazione globale del deficit neurologico riportato, in modo da poter stilare un piano di trattamento con obiettivi di trattamento a breve, medio e lungo termine. A ogni modo è necessario l’intervento di un vero e proprio team multidisciplinare capace di definire il deficit motorio, le capacità espressive e la comprensione, la deglutizione (questa funzione nello specifico, va valutata entro le 24 ore dall’ictus e poi continuamente monitorata), le funzioni cognitive e la presenza di disturbi dell’umore”.   
Nel celebrare la giornata mondiale contro l’ictus, sono numerosissime le iniziative di informazione e sensibilizzazione, dai monumenti illuminati di verde come l’Arco di Augusto in Valle d’Aosta, colore simbolo della lotta all’ictus, ai convegni, alle visite in ospedale gratuite per valutare i fattori di rischio per la condizione. Quest’anno, inoltre, si insiste molto come tema, sull’importanza della riabilitazione: questo passaggio è fondamentale per ridurre il grado di disabilità determinato dall’evento e favorire il recupero psico-fisico.  Un trattamento riabilitativo, dopo un qualsiasi evento neurologico acuto, ma specificatamente ictus, dovrebbe includere almeno 3 ore di terapia al giorno, in una combinazione di fisiokinesiterapia, logopedia e terapia cognitiva-occupazionale. Questa fase di riabilitazione acuta dovrebbe continuare per almeno 4-6 settimane post-ictus ed essere seguita da una fase ambulatoriale fino ai 3 mesi. La maggioranza delle funzioni neurologiche, infatti, recupera nel giro di circa 3 mesi.  Nel 2010 A.L.I.Ce Italia Onlus (Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale), con la collaborazione del CENSIS, ha condotto un indagine su un campione di 1000 pazienti colpiti da ictus. Nell’ 88,8% dei casi le persone prima dell’evento erano completamento autosufficienti, il 10,5% del campione viveva già una condizione di autosufficienza solo parziale, solo lo 0,7% non era autosufficiente già prima dell’accidente cerebrovascolare. A tale proposito la dottoressa Pezzella sottolinea:”«I pazienti compresi in questo campione di studio che hanno ereditato dall’ictus una condizione di disabilità tale da essere incapaci di deambulare e di provvedere alle proprie esigenze personali senza assistenza sono il 39,8% dei casi; nel 45,6% dei casi necessitano di aiuto, pur riuscendo almeno a camminare, mentre il restante 13% del campione è risultato confinato a letto e del tutto non più autosufficiente dopo l’evento”.  Dati non propriamente confortanti, come si evince ancora dalle parole della dottoressa Pezzella: “Per quanto riguarda i pazienti considerati, a riuscire ad usufruire dell’assistenza domiciliare sono stati il 26,2%, ma, fra le famiglie che non sono riuscite ad accedere al servizio, nel 15,1% dei casi sono state segnalate difficoltà ad accedere e quindi a ottenere il servizio. In un 8% dei casi, poi, il servizio non si è rivelato pari alle aspettative e addirittura il 12,7% delle persone ha dichiarato di non sapere neppure che è possibile ottenere un’assistenza domiciliare”. 

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