‘E “purpetielle” alla Luciana

Questa storia inizia a Napoli, in uno dei luoghi più caratteristici e suggestivi del capoluogo campano, il Borgo marinaro di Santa Lucia, un tempo ritrovo di pescatori, detti “lucianini” abilissimi nella pesca del polpo verace. La sua cattura avveniva con la tecnica dell’anfora, consistente nel disporre di sera sul fondo del mare anfore di terracotta che il mattino seguente risultavano ricolme di polpi. La preparazione si basava su una ricetta molto semplice, ma ugualmente succulenta e appetitosa: tagliati grossolanamente, i polipi venivano adagiati in una casseruola di terracotta e lasciati cuocere lentamente nel loro stesso liquido, poiché come d’altronde si dice ‘o purp’ s’adda cocer’ rint’ all’acqua soja! (“Il polipo deve cuocere nella sua acqua!”). Riponevano il coperchio sulla casseruola insieme ad un panno umido e lasciavano cuocere per circa 40 minuti. Li arricchivano poi con un sugo di pomodori, capperi e olive nere di Gaeta. Aggiungevano un po’ di brodo della cottura ed il polpo veniva servito ben caldo, di solito all’interno di una tazza. Il polpo alla Luciana, o più comunemente noto come ‘e purpetielle alla Luciana, che deriva, come si è visto, il nome dai vecchi pescatori di Santa Lucia, è quindi l’ennesimo retaggio culinario di un passato che ha dato vita a ricette che hanno fatto la storia della tradizione gastronomica campana arricchitesi nel corso del tempo differenziandosi peraltro in varianti gustose e altrettanto saporite, e costituisce uno dei piatti a base di pesce più conosciuti e apprezzati del panorama culinario partenopeo, una vera e propria delizia per il palato.

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