L’esercito Italiano proibisce i tatuaggi osceni o razzisti

A distanza di un anno si parla ancora della direttiva emanata nel 2012 dal Capo di Stato Maggiore, che ha definitivamente stabilito l'impossibilità per i membri dell'esercito di avere tatuaggi nelle zone del corpo lasciate visibili dall'uniforme e, inoltre, il divieto assoluto di tatuaggi osceni o razzisti. Era stato promesso che non sarebbero state poste in essere pressioni in merito all’eliminazione dei tatuaggi non consentiti, ma che solo nei casi gravi (ad esempio tatuaggi con contenuti offensivi o di vilipendio per le
istituzioni o configuranti apologia di reato) si sarebbero applicate sanzioni disciplinari. La norma era stata inserita senza un vero e proprio carattere retroattivo. Fatta eccezione per quei tatuaggi che, nonostante fossero antecedenti alla disposizione, fossero di gravità tale da ledere l’interesse dell’amministrazione. In effetti poco importa un normale tatuaggio sul collo o sulla mano. Numerose sono state però le critiche all’interno del corpo militare, che sembra non aver gradito la nuova disposizione in materia. In realtà appare assurdo anche solo il fatto che si sia sentito il bisogno di legiferare su un comportamento che dovrebbe essere etico più che giuridico. La norma aggiungeva chiaramente il divieto categorico di avere in qualunque parte del corpo tatuaggi "osceni", con "riferimenti sessuali, razzisti o di discriminazione religiosa" e qualunque tatuaggio, che possa "portare discredito alle istituzioni dello Stato ed alle forze armate". In quest'ultima categoria sono ricomprese raffigurazioni o scritte "palesemente in opposizione alla Costituzione o alle leggi dello Stato italiano" e "i tatuaggi che fanno riferimento ovvero identificano l'appartenenza a gruppi politici, ad associazioni criminali o a delinquere, incitano alla violenza e all'odio ovvero alla negazione dei diritti individuali o ancora sono in opposizione ai principi cui si ispira la Repubblica italiana". La domanda sorge spontanea : come sono avvenuti fino ad oggi i metodi di selezione all’interno dell’esercito? Quale Psicologo o addetto ai lavori consegnerebbe un arma nelle mani di un ragazzo con una Svastica nel petto? C’era davvero bisogno di scrivere una direttiva in tal senso? Non avrebbe dovuto essere implicito nel codice etico dell’esercito? Ancora più curiosa è la motivazione della direttiva, che non risiede nella mera valutazione psicologica (evidentemente è concesso dimostrarsi razzisti o totalitaristi e poter difendere lo stato!),ma prevenire solamente situazioni che possano recare un pregiudizio al decoro ( all’immagine quindi!) della divisa; sia nel contesto Nazionale, che nel contesto Internazionale. E sebbene sarebbe ipocrita e fuori luogo, che un Militare impiegato all'Estero nelle missioni di pace porti sul petto tatuaggi con disegni e scritte discriminatorie sulla razza o la religione, come si può conciliare il rispetto per l'uniforme e la Costituzione Italiana, portando simboli e raffigurazioni dittatoriali? Quale messaggio etico potrebbe dare un Uomo, se sulla sua pelle ha inciso concetti grafici, che insultano lo stato, la giustizia stessa o le donne? Quello che davvero lascia senza parole, è che una prassi del genere non fosse già in vigore nella coscienza collettiva del Corpo Militare.

Condividi questo articolo qui:
Stampa questo post Stampa questo post