Come le imprese affrontano la crisi

Intervista all’economista Raffaele Brancati, presidente del MET Per rispondere ad alcune domande sulle condizioni attuali delle imprese italiane e sulle politiche di intervento in grado di dare un futuro all’imprenditoria italiana, abbiamo intervistato Raffaele Brancati, economista, con incarichi istituzionali ed editoriali, nonché presidente MET (Monitoraggio Economia e Territorio) un centro di ricerche economiche indipendente.
Salve presidente, il suo ultimo libro “Fatti in cerca di idee. Donzelli ed.” è dedicato ai bisogni della struttura produttiva e alle politiche realizzate in Italia con ulteriore lavoro dedicato a quattro paesi europei. Come sta incidendo la crisi economica sul sistema produttivo italiano?
Il sistema produttivo italiano è fatto di diversi parti molto diverse tra loro, a grandi linee una fetta molto consistente (artigiani, piccole aziende locali, utilities..) si rivolge principalmente alla domanda interna o a mercati locali. Questa porzione produttiva ha sofferto meno della crisi e allo stesso tempo è cresciuta e crescerà limitatamente.  Si tratta anche di quella parte di imprese che è portata meno allo sviluppo,  
alla ricerca e alla innovazione, fattori indispensabili per la crescita. Un’altra porzione produttiva, si rivolge alla pubblica amministrazione, che ha accusato la crisi solo parzialmente. Esiste poi la parte più numerosa, interessante ed innovativa del sistema formata da esportatori e da coloro che internazionalizzano, ed è qui che la crisi ha avuto un effetto dirompente, in particolare nel 2009, anno nel quale il commercio mondiale è calato di quasi il 20% e che ha costretto queste aziende ad affrontare mercati calanti e soprattutto la stretta creditizia. In particolare in questa fascia, le eccellenze, come Fiat, Tod’s hanno subito solo una battuta di arresto ed ora hanno ripreso a camminare, mentre le aziende emergenti portatrici di progetti forti di innovazione, ricerca e internazionalizzazione pur non essendo ancora affermati sul mercato per crescere hanno avuto bisogno di appoggiarsi al sistema creditizio e sono state anche le più danneggiate dal mercato prima e dalla restrizione sul credito poi.
La nostra economia sta perdendo di competitività?
Non lo so. C’è da dire che la quota delle esportazioni italiane nel commercio mondiale di beni dal 2000 al 2008 ha tenuto abbastanza diminuendo solo dello 0,1%, molto meglio di quasi tutti i concorrenti europei e degli Stati Uniti. Con la crisi le fila si sono serrate per molti paesi, e in tutti i paesi i governi sono scesi in campo a sostegno delle imprese, ciò vale per tutti i paesi, ma non per l’ Italia.
Quali elementi critici condizionano il Sistema Paese e cosa fanno le istituzioni per le imprese?
Le imprese italiane che cercano di fare, non hanno soldi perché la politica italiana non interviene, a parità di Pil le aziende italiane ottengono dal governo solo 1/3 delle risorse che il governo tedesco distribuisce alle imprese in Germania. L’ultimo caso è quello che riguarda la Fiat. Il governo Americano seduto al tavolo con Marchionne ha offerto molti soldi, così hanno fatto in Serbia e in molti altri paesi. I soldi pubblici contano e ne è buona testimonianza che in tutti i paesi se ne fa più uso, ma anche altri modi per sostenere le imprese italiane che vanno all’estero (per esempi attraverso l’assistenza legale, amministrativa, politica, o servizi qualificati) non sono così diffusi in Italia. Purtroppo i governi italiani da anni non danno né soldi e né assistenza. Le aziende italiane si confrontano con quelle di altri paesi che sono aiutate dai loro governi. Il fai da te non paga e se fino ad ora ha dato dei buoni risultati non sono sicuro che nel futuro sarà così.
Quali sono le imprese che traggono maggiori benefici dalle politiche pubbliche?
Il settore più privilegiato in Italia e che assorbe le maggiori risorse, circa 1/3 del totale è quello aereonautico/aerospaziale, di cui si sa poco ed è regolato dalla legge 808/85. Al Sud vanno mediamente il 50% dei finanziamenti complessivi. Nel 2009 lo Stato ha messo a disposizione circa 3.400miliardi di euro netti (fonti MET) a livello nazionale, ma parliamo di cifre che confrontate con gli altri Paesi sono molto esigue, distribuite poco e male. Francia e Germania danno rispetto al PIL  più del doppio di quanto l’Italia elargisce alle proprie imprese.
Nel contesto attuale chi va meglio, le piccole e medie imprese o le grandi?
La risposta sorprendente è che vanno bene le piccole e le grandi. Soffrono le imprese medie dinamiche, ancora non mature, che hanno fatto investimenti in ricerca ed innovazione. Le piccolissime imprese non sono molto esposte.
Quali sono le risposte adottate dalle aziende alla crisi?
 Varie, almeno a giudicare da una vasta indagine di campo da noi compiuta nel novembre 2009. Le abbiamo divise in risposte difensive, date dalle due risposte più frequenti, quella di fermarsi e aspettare che passi la tempesta, e quella di cercare di ridurre i costi. Sono le formule adottate dal 70% delle imprese. Poi c’è il 30% che cerca di reagire, diviso in due parti, una metà che cerca di fare innovazione e l’altra metà che cerca di effettuare operazioni  di tipo commerciale, investendo su nuovi mercati e sulle reti di vendita.
Questo appiattimento del 70% è positivo? E quali sono invece le soluzioni che dovrebbero essere adottate dalle imprese
L’appiattimento dipende da quanto dura la crisi per le imprese: un periodo relativamente breve si può anche attendere, se il tempo di allunga non è una risposta accettabile. Le soluzioni per uscire meglio dalla crisi sono sicuramente le due risposte attive adottate dal 30% degli operatori, per fare questo tuttavia le aziende hanno bisogno di risorse e se non riescono a trovarle il rischio di fallire è alto. Non è facile fare l’imprenditore. Il problema è avere il progetto giusto sia nel campo dell’ innovazione che in campo commerciale. Sarebbe indispensabile aiutare chi ha progetti appropriati attraverso soldi e assistenza.
Come vede la nostra economia nel prossimo futuro?
Le imprese italiane hanno cercato di reagire molto, sono abbastanza convinto che l’Italia perderà relativamente poco ancora sui mercati internazionali, quindi ci sarà una ripresa consistente delle aziende che internazionalizzano, la cosa negativa è che chi ha internazionalizzato in Italia è una porzione piccola del sistema produttivo, che ha secondo me gli strumenti per difendersi e restare sul mercato. Attualmente le imprese che internazionalizzano sono una quota prossima al 5% del totale: sarebbe un eccellente obiettivo di politica economica aumentare, anche solo di poco, tale quota.

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