L’Italia dei distretti combatte la crisi

I distretti italiani ripartono da qui: internazionalizzazione, innovazione, formazione e nuove forme di finanziamento. I distretti industriali sono aree territoriali locali caratterizzate da elevata concentrazione di piccole-medio imprese, ognuna di esse è specializzata in una o più fasi di uno stesso ciclo produttivo ed inserita in una rete complessa di interrelazioni economiche, sociali e geografiche.
I distretti in Italia hanno contribuito in modo significativo a creare la storia dell’economia nazionale. La caratteristica del nostro sistema distrettuale si è basato sulla qualità dei prodotti che di prezzo e su una consolidata specializzazione manifatturiera unitamente ad una forte concentrazione geografica. Ciò ha permesso una rapida diffusione del know-how, una compartecipazione del rischio industriale e la nascita di un’identità comune.
Tuttavia i rapidi cambiamenti degli ultimi anni sui mercati internazionali, dovuta all’ingresso della concorrenza estera e della crisi internazionale, ha messo in crisi tutta la struttura del nostro sistema distrettuale. Le sole industrie del distretto tessile biellese, uno dei maggiori poli lanieri del mondo, hanno dovuto chiudere i battenti e circa 90 dei 104 distretti industriali italiani si trovano in difficoltà e non hanno saputo resistere alla recessione come si sperava (fonte The Economist).
I distretti industriali sono fonte di problemi nella misura in cui contribuiscono a sostenere la specializzazione dell’Italia in settori produttivi tradizionali, scarsamente tecnologici e innovativi. Il modello distrettuale italiano attuale è fortemente orientato al proprio interno, inadatto ad anticipare il mercato e a dare risposte immediate in un contesto in continua evoluzione.
 In alcuni casi però i distretti hanno saputo rispondere alla crisi, questo si è verificato per coloro i quali hanno delocalizzato all’estero (in particolare verso il Medio Oriente e l’Europa Orientale e l’Asia) le fasi del processo produttivo di minore specializzazione mantenendo quelle a più alto valore aggiunto (rifiniture, design, marketing..) nel paese di origine. I vantaggi risultano dalla riduzione dei costi come il basso costo della manodopera, disponibilità di materie prime in loco e sgravi fiscali. In Italia queste scelte, spesso ostacolate perché considerate pericolo per i posti di lavoro, sono ora viste come importanti opportunità strategiche che possono contribuire alla sopravvivenza stessa dei distretti. La riduzione dei costi va infatti di pari passo all’obbiettivo più ambizioso della ricerca di nuovi mercati. La delocalizzazione produttiva diventa così strumento per l’internazionalizzazione. Ad esempio, nel  distretto biomedicale di Mirandola, l’esperienza maturata in Egitto è allo stesso tempo delocalizzazione, per abbattere alcuni costi, ma anche internazionalizzazione, per aprirsi al mercato del Medio Oriente. Per rilanciare i nostri distretti e rispondere alla recessione nel breve periodo, bisogna quindi aprirsi ai nuovi mercati internazionali. Nell’Italia manifatturiera, sarà ancora una volta l’export del “made in Italy” a trainare l’economia del 2011. Questo dato emerge dalle analisi effettuate sul Rapporto nazionale del sistema produttivo italiano di UniCredit e Sole 24 Ore e sulle relazioni trimestrali della Federazione Distretti Italiani. L’Italia, tuttavia, cresce ancora troppo poco sulla base dei dati forniti da Bankitalia, che stimano per il nostro Paese una crescita solo dell’1% del PIL nel 2011. Sono dati sconfortanti, se si pensa che la Cina crescerà invece del 10%, la Germania, per citare un esempio a noi più vicina, del 3,6%, e l’Europa in generale dell’1,8%. Crescere poco vuol si traduce nell’impossibilità di riassorbire la disoccupazione, non aumentare i consumi, non accrescere il potere contrattuale, quindi lo stipendio, che si sostanzia in meno benessere. Occorre aumentare la presenza sui mercati emergenti (India, Cina ed Europa centro-orientale, Brasile e Nord Africa). L’internazionalizzazione deve puntare a realizzare flussi di esportazione, investimenti diretti all’estero, ad individuare nuove forme di collaborazione e ad informare sull’appetibilità di nuovi mercati di sbocco. Per competere oltre confine è necessario però diminuire vincoli dimensionali, scarsa propensione al rischio ed assenza di un sistema-paese in grado di aiutare le PMI. Nei primi anni della crisi, il governo ha tenuto i conti pubblici a posto, ma adesso occorrono delle riforme strutturali come liberalizzazione, miglioramento della pubblica amministrazione, infrastrutture, ricerca e innovazione come afferma la Marcegaglia. L’Italia deve concentrarsi sulla crescita, tornare a produrre benessere, ribadisce la presidente di Confindustria e per farlo deve investire tutti i propri sforzi sullo sviluppo, ripartendo dalla valorizzazione di alcuni elementi fondanti, che nel futuro potrebbero segnare il punto di svolta. Tra questi elementi l’innovazione, sia del processo produttivo che del prodotto attraverso investimenti tesi a sostituire impianti obsoleti e a rivalutare i prodotti di alta qualità del “Made in Italy” (tessile, abbigliamento, calzature, arredo..). Oggi si parla anche di Green economy: l’innovazione sta investendo in settori strategici come quelli legati all’ambiente ed alla eco-sostenibilità.
A Capannori (Lucca) ad esempio, c’è il più importante distretto cartario italiano che sta commercializzando all'estero una nuova carta biologica, tutelando cosi l'ambiente ed in particolare le foreste. Il distretto d’abbigliamento Gallaratese, invece sta sviluppando fibre naturali, impiegando le piante di bambù, la canapa, il pino bianco norvegese e la betulla. Altro elemento importante per il superamento della crisi è la “formazione”, mediante specializzazione delle competenze professionali presenti e collaborazione con centri di ricerca. Ancora il “credito”, le banche sono il principale interlocutore delle imprese distretto, sia nella fase di elargizione di credito che in quella di selezione dei progetti di sviluppo. Le imprese di distretto hanno continuato a ricorrere in maniera massiccia al debito e a caratterizzarsi per una scarsa diversificazione delle fonti di finanziamento. Occorrerebbe dunque maggior accessibilità a nuove forme di finanziamento a medio termine.
In breve, l’attuale modello industriale per dare risposte brevi ed efficaci alla crisi deve effettuare un'evoluzione verso un sistema di “Reti di imprese” queste permetterebbero di ottenere importanti vantaggi comuni attraverso collaborazioni tecnologiche e commerciali con aziende della stessa filiera produttiva, acquisendo maggiore forza contrattuale, agevolazioni amministrativo-finanziarie e incentivi alla ricerca e allo sviluppo.
 

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