Le aree sistema per rispondere alla crisi

La crisi economica che attanaglia il mondo economico  non è ancora terminata. Il nostro Paese,  perde  punti di PIL ed è slittato tra gli ultimi posti all’interno dell’OCSE. In brutte acque anche  paesi come l’Irlanda, la Spagna e la Polonia. Negli Stati Uniti, Barakc  Obama afferma che  la crisi,  per essere superata, ha bisogno di tempo. Il calo della produttività e dell’occupazione sarebbero stati alla lunga superiori se non ci fossero stati degli interventi pubblici di vasta portata. Lo scorso anno, gli Stati Uniti hanno adottato dei provvedimenti eccezionali  di espansione del debito pubblico.   In questo modo sono state salvate grandi  banche e aziende, misure che attualmente sarebbero impossibili da ripetere. L’intervento pubblico rivolto principalmente a tenere a galla ciò che non funziona, aiuta ma non risolve da solo la crisi. Le imprese sane, quelle che producono ricchezza, hanno la stessa priorità di quelle in crisi.  
In Italia, a parte i tagli alla spesa pubblica, gli interventi di stampo assistenzialista possono essere dei palliativi anti-ciclici, non certo soluzioni strutturali. Il debito pubblico sta risalendo al  120%, come negli anni novanta. Cosa bisogna fare? Bisogna aumentare ancora le tasse? Oppure agevolare l’utilizzo delle carte di credito? Per uscire dalla crisi anche nel nostro paese, non servono solo i soccorsi statali per le aziende in deficit o i manager incompetenti, né si può puntare su altre incentivazioni al consumo “da indebitamento”.
Per sostenere l’economia reale occorre rilanciare gli investimenti e sostenere l’imprenditorialità, soprattutto in un paese come l’Italia dove l’economia assistita si espande sempre più rispetto all’economia produttiva. Le piccole e medio imprese vedono ridurre enormemente i propri spazi di azione, il Made in Italy è abbandonato a se stesso, le infrastrutture sono ferme.
Superare la crisi significa riconsiderare il “vantaggio competitivo” di una nazione. Questo vantaggio si può creare solo con nuove “aree sistema”, concorrenziali al livello internazionale. Così come sostiene l’economista giapponese Kenicki Ohmae, sono le regioni geografiche di maggior successo quelle che danno slancio all’economia nazionale. Pensiamo alla Silicon Valley in California, o ai distretti di Tolosa in Francia e Hsinchu in Taiwan. Dei poli produttivi che alimentano reti esterne di piccole e medie imprese diffuse sul territorio. L’economia, nell’era della globalizzazione, si sviluppa attraverso investimenti focalizzati in aree produttive ad elevato potenziale economico. Se queste aziende hanno successo, si crea anche un indotto diffuso su vaste aree territoriali limitrofe.
La politica industriale non può prescindere dal sostegno al territorio. La ricchezza reale viene creata da reti imprenditoriali capaci di agire in un ambiente infrastrutturale e inter-aziendale innovativi. Se la crisi tende a disgregare il sistema economico, generando una polverizzazione diffusa degli investimenti, i sistemi a economia diffusa possono riattivare quelle sinergie necessarie per rilanciare la produzione.
Occorre saper pensare globalmente ma agire localmente. Le due dimensioni, micro e macro, si sostengo a vicenda, creando quello spirito imprenditoriale che oggi sembra soffocato. La produttività viene generata dal “quarto capitalismo”, quello delle aree sistema.
La ricchezza si crea al livello locale, per poi circolare al livello globale. Senza la prima, la seconda diviene pura astrazione, speculazione, bolla finanziaria. Occorre sostenere l’economia concreta, quella che produce una redditività sostenibile,  convogliando nuovi investimenti sui poli strategici di sviluppo.  

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