Telefonini e figli ribelli.

Il dibattito sollevato dalla circolare del Ministro della Pubblica Istruzione Fioroni, che reca in oggetto "linee di indirizzo ed indicazioni in materia di utilizzo di telefoni cellulari e di altri dispositivi elettronici durante l'attività didattica", somiglia più a un polverone sonnacchioso che a una presa di posizione efficace e soddisfacente su un problema che, bisogna convenirne, ha dimostrato tutta la sua gravità in un processo mediatico a catena di S.Antonio, e tutta la sua urgenza quando ormai era troppo tardi. Il cellulare, si sa, non è più un accessorio per i nostri adolescenti.
E' molto di più, è una necessità, una pura ragione di vita, una protesi di loro stessi. E' un oggetto che ha superato ormai la sua funzione meramente comunicativa, per assumere il ruolo di libero passaporto nei confronti del branco e di veicolo a basso costo per essere protagonisti nell'effimero di un filmatino amatoriale da condividere tra amici, o da inserire in rete.

Così, una volta identificato il primo "mariuolo", non si è mai fermata la gragnuola di notizie su professori inermi ripresi mentre venivano derisi da orde fameliche di studenti armati di videofonino, di alunni disabili offesi e malmenati, di professoresse discinte che affermano di non essersi accorte che qualcuno dei loro alunni minorenni le stesse palpeggiando e di supplenti senza scrupoli.

L'emergenza nelle scuole si verificava ormai da tempo ma, si sa, le emergenze esistono solo nella misura in cui se ne parla sui giornali, in Tv e in internet. Cellulari sotto il banco, magari privi di suonerie o dotati appena di una leggera vibrazione e sguardi distratti mentre si digita un SMS; richieste di uscire dall'aula perché "è la mamma che mi chiama", telefonini infilati nello storico astuccio delle penne e delle matite per poter spedire e ricevere, con un minimo di destrezza, al soluzione del compito dal compagno di classe o da fratelli e sorelle compiacenti a casa.
Tutto questo era ed è vita quotidiana nella scuola pubblica.

Poi il caos. La follia. Per un cellulare sequestrato ci sono famiglie che non si sono fatte scrupoli a picchiare gli insegnanti o i dirigenti scolastici. Perché, si sa, i libri di testo sono molto cari e ci si può anche permettere il lusso di non averli. Ma i cellulari, quelli no, quelli devono essere all'ultimo grido, un po' perché se no i ragazzi non si sentono come tutti gli altri, un po' perché devono comunque essere sempre raggiungibili dai genitori (che si dimenticano che la scuola ha un numero di telefono a cui rivolgersi e dal quale gli alunni possono chiamare in caso di urgenza), un po' perché senza quel cellulare non si è nessuno.

E allora non si può dire che un insegnante ha fatto bene a sequestrare un cellulare a un alunno solo perché lo usava in classe. Perché oltre ad andare a toccare un bene indubbiamente personale, l'insegnante ha avuto l'ardire di mettere in dubbio il sistema educativo della famiglia. Ha dimostrato una falla, una voragine nel ruolo familiare nell'insegnamento dei valori ai propri figli e questo no, non è minimamente tollerabile.

Per fortuna, adesso, la stampa ha raccontato che con la circolare del Ministro Fioroni tutti potremo dormire sonni tranquilli e che, finalmente, è giunta l'ora della riscossa degli insegnanti: l'uso dei telefonini è finalmente vietato in classe e la decenza è ristabilita motu proprio da una comunicazione che ha coinvolto nientemeno che il Ministro in persona, da sempre dimostratosi sensibile all'impatto che le "nuove tecnologie" (così definite, evidentemente, da chi più che "nuove" le sente "estranee") possono avere nella cultura e nell'educazione dei giovani.

Dopo una introduzione che va dall'allarmismo, come " i recenti fatti di cronaca che hanno interessato la scuola, dalla trasgressione delle più banali regole di convivenza sociale (uso improprio dei telefonini cellulari e altri comportamenti di disturbo allo svolgimento delle lezioni)" fino agli episodi di bullismo e di violenza, riguardano situazioni che, seppure enfatizzate dai media, non devono essere sottovalutate, alla banale ovvietà del "volemc ben" ("un'educazione efficace dei giovani è il risultato di un'azione coordinata tra famiglia e scuola"), Fioroni passa a elencare ciò che deve essere fatto: rivedere il regolamento di disciplina degli alunni.

Dove sia il discrimine tra il corretto e lo scorretto non è dato saperlo. E non ce lo dice Fioroni, lasciando agli insegnanti la discrezionalità del discrimine tra l'utile e il futile, tra l'urgente e il superfluo, facendo intendere, poco più avanti, che sì, se proprio non se ne può fare a meno, una telefonatina a casa la si può anche fare, basta che il Prof. dica di sì.

E il Prof. dice di sì, anche e soprattutto perché non può dire di no. Non si può andare a sindacare se il "Oddio, prof., ho mal di pancia, posso andare fuori a chiamare mia madre per sapere se può venire a prendermi?" sia o non sia la scusa per sentire il fidanzato o l'amica del cuore.

Il Docente non ha gli strumenti, ma soprattutto non ha i poteri per poter frenare l'uso impazzito del telefonino durante l'attività didattica. Occorrerebbe che questo particolare dovere di sorveglianza (che non è quello generico riguardante l'incolumità fisica degli alunni e la prevenzione di azioni di particolare pericolo) fosse previsto da circolari, ben definite e perentorie.
Occorrerebbe, più semplicemente, una legge dello Stato che dicesse, sic et simpliciter, che "é proibito l'uso dei telefoni cellulari durante l'attività didattica."
Fioroni sa bene anche questo. E sa anche che le leggi in Italia le fa il Parlamento e non i Ministeri.
Ma, evidentemente, il molto rumore per nulla è una sirena di Ulisse ancora troppo irresistibile, sebbene nessuno, a parte i gestori di telefonia mobile, abbia alcunché da guadagnarne.

Gianfranco RICCIARDI

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