Caso Parlanti, ancora al palo.

Il Garante dei diritti dei detenuti della Regione Lazio Angiolo Marroni, ha chiesto un incontro urgente

all’ambasciata degli Stati Uniti in Italia per discutere della vicenda di Carlo Parlanti, il cittadino italiano di 44 anni rinchiuso dal 2005 in un carcere americano con l’accusa di stupro e maltrattamenti domestici nei confronti della sua ex convivente. A motivare la richiesta, ha spiegato Marroni, «le troppe incongruenze di una storia che hanno portato ad una incredibile serie di violazioni dei diritti elementari di quest’uomo».

Ad attivare il Garante la richiesta del Presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo, cui era arrivata la richiesta di aiuto da uno dei blogger italiani che si stanno interessando alla  vicenda.

La storia di Carlo Parlanti circola da tempo su internet. Nato a Montecatini nel 1964, manager informatico, Parlanti vive sei anni in California come project manager informatico nella multinazionale “Dole Fresh Vegetable”. Nel 2000 ebbe problemi legali con la sua terapista, con cui aveva una relazione, che lo accusò di violenza. Parlanti, convinto dal suo legale, accettò un patteggiamento per non perdere il permesso di lavoro permanente negli USA ed intanto, avviò una causa contro la donna, aiutato dalla sua nuova compagna Rebecca White, conosciuta nel 2001.

Dopo 9 mesi di vita in comune anche questa storia finì e, nell’agosto del 2002 Parlanti tornò in Italia, ignaro del fatto che un mese prima, la White (che conosceva a fondo la documentazione del caso della terapista) lo aveva denunciato affermando di essere stata picchiata, legata e stuprata. A lungo l’uomo ignorò l’accaduto: il mandato di cattura internazionale delle autorità statunitensi, infatti, non fu mai notificato in Italia, tanto che Parlanti continuò a vivere nel nostro Paese e a spostarsi per lavoro in Europa e in Canada.
 
Nel luglio 2004 fu arrestato all’aeroporto di Dusseldorf e trasferito in un carcere dove rimase per 11 mesi. Mentre gli Usa chiedevano l’estradizione, la giustizia italiana tentò invano di far rientrare Parlanti in Patria perché la Procura di Milano, senza prove, non riscontrò i requisiti per richiederne la custodia cautelare e quindi l’estradizione. Il 3 giugno 2005 Parlanti fu estradato a Ventura, in California. A novembre Parlanti rifiutò un patteggiamento che gli avrebbe consentito di rientrare in Italia entro 3 mesi. Durante il processo la sua ex convivente confermò le precedenti accuse e aggiunse nuovi dettagli mai rivelati prima. Le versioni dei fatti sono sempre diverse, ed oggetto di continue ritrattazioni e revisioni. Nel corso del dibattimento 8 testimoni, tra cui 3 poliziotti, e la manager di un ristorante testimoniano che la donna non presentava segni di violenza.

Il 20 Dicembre 2005 la giuria popolare emise il verdetto di colpevolezza per i 3 i capi di accusa: stupro, sequestro di persona e maltrattamenti domestici. Per il giudice che ha emesso la condanna a 9 anni di reclusione per due capi di accusa (stupro e maltrattamenti domestici), “seppur non vi siano referti medici e la sig.ra White sia stata inconsistente e quanto raccontato va oltre la realtà, penso che Parlanti l'abbia danneggiata psicologicamente da renderla inconsistente”.

Oggi Parlanti si trova detenuto nel carcere di Avenal, nella contea californiana di Ventura, ed è in condizioni fisiche incompatibili con il carcere, bisognoso di cure e di verifiche sanitarie urgenti (una Tac per una massa all’apice del polmone destro, prenotata e poi annullata).
 
Nella sua lettera all’ambasciata (inviata anche al Ministero della Giustizia e all’onorevole Marco Zacchera., vicepresidente della Commissione italiani nel mondo, che si è occupato del caso), il Garante Angiolo Marroni ha anticipato che chiederà di esplorare «tutte le possibilità affinché Parlanti possa beneficiare di una riapertura del caso e di cure mediche immediate».

«Alle autorità diplomatiche statunitensi – ha aggiunto Marroni – chiederò anche che sia valutata la possibilità di ottenere l’estradizione in base alla Convenzione di Strasburgo del 1983. Dal 2004 ad oggi, invece di alimentare tanti dubbi, le autorità giudiziarie americane avrebbero potuto lavorare per chiarire il quadro di questa oscura vicenda e, soprattutto, per garantire ad un cittadino italiano il suo sacrosanto diritto di sentirsi innocente fino a prova contraria

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