Teatro Nuovo: Masculu e fiammina di e con Saverio La Ruina
L’artista calabrese porta in scena un toccante viaggio nei meandri dell’anima e della verità, tra ricordi, momenti belli, destini non facili e rotture drammatiche. Dopo le memorie emigranti e l’immersione nell’universo borghese, Saverio La Ruina torna a scavare nella terra antica di Calabria, ritrovando in quel dialetto, che è radice popolare, le ramificazioni di Masculu e fìammina, in scena, da mercoledì 8 novembre 2017 alle ore 21.00 (in replica fino a domenica 12) al Teatro Nuovo di Napoli.
Presentato da Scena verticale, Masculu e fiammina, che si avvale delle scene di Cristina Ipsaro e Riccardo De Leo, il disegno luci di Dario De Luca e Mario Giordano, le musiche originali di Gianfranco De Franco, è, prima di tutto, un racconto sull’amore, il racconto di una vita.
Un intenso monologo in cui è racchiuso il dramma di chi ha vissuto la vita nascondendosi, soffocando istinti e pulsioni per non far parlare la gente. Dopo una vita di verità ferite, di complicità mai trovate, di violenze subìte, di senso di diversità e d’inadeguatezza mai colmati, l’uomo, ormai maturo, riesce a parlare della sua diversità alla madre, al suo tumulo.
Punta dritto all’argomento che ha deciso di affrontare su quella tomba, la propria omosessualità, di cui, in realtà, con la mamma non ha mai parlato quando era viva. Trova il coraggio solo nel momento in cui lei non c’è più fisicamente, sempre pronta, comunque, ad accettarlo e proteggerlo.
L’uomo, in un incessante flusso di parole, ripercorre la sua vita, segnata da dolori e solitudine, immagine di quanta sofferenza possano portare pregiudizio, conformismo, ignoranza, ma con un indomabile coraggio di sperare in una società più gentile.
La costruzione linguistica è impostata su quel dialetto aspro, capace di una musicalità quasi ipnotica. La trama serve da spunto a Saverio La Ruina, che incarna Peppì, il protagonista che racconta di quando, bambino, gli piaceva guardare le gambe dei compagni a scuola e i ragazzini al mare del Lidu Aragosta, le prime disillusioni con Gianni, il ragazzo che gridava viva Marx, ma che sparisce quando scopre la sua omosessualità.
Poi, ci sono i primi incontri, Enzu, Vittorio e finalmente l’amore con Alfredo, ucciso una notte dalle bastonate di qualche omofobo.
Vent’anni dopo, poco è cambiato. Lì nel cimitero, ormai tranquillo signore, Peppì confessa alla madre di avere un sogno, quello di ibernarsi per svegliarsi un giorno e vivere in un mondo migliore.
In un meridione con la neve, tra le tombe, finalmente con la sensazione d’essere liberi di dire, prende vita uno scambio d'idee tra un figlio e una madre, e si lasciano andare i dolori, le piccole gioie, i silenzi, le paure, le violenze, la ricerca di un amore vero, il desiderio di essere accettati.