Tempus fugit: ultimo saluto alla coraggiosa testimone della strage di Marzano Appio (CE)

In questo inizio millennio, scosso da pandemie e guerre, parlare della Seconda guerra mondiale può sembrare un vezzo culturale e non un’esigenza attuale, concreta, del nostro vivere quotidiano. Ma se ci fermiamo solo un momento a riflettere su ciò che stiamo sopportando in questo periodo, forse il ‘900, con i suoi pericoli, le sue tragedie e soprattutto le sue rinascite, oltre che ricordo e monito, al contempo assume i tratti di un riferimento etico da non tralasciare assolutamente. In particolare, di quel “momentum” doloroso, dobbiamo tener bene in mente cosa rappresentò per il nostro Paese l’otto settembre del 1943, quel superamento della linea rossa, in altri ambiti definita ‘punto di non ritorno’, dalla cui tragedia si sviluppò la vera storia della rinascita del popolo italiano. L’improvviso vuoto di potere, la divisione della penisola in due aree geografiche ed ideologiche contrapposte, nonché lo shock delle nostre forze armate rimaste senza ordini superiori, non furono che l’inizio di un periodo che trasformò i nostri territori in un tragico campo di battaglia molto più vasto di ciò che si era visto durante la Grande Guerra, portando i civili ad essere, per certi versi ancor più che per i bombardamenti, i protagonisti di un periodo disumano in tutte le immaginabili accezioni morali. Non fu quindi una questione meramente territoriale ma più semplicemente, dobbiamo dircelo, di moralità perduta, di abbandono di ogni umana considerazione o forse potremmo dire di assenza di pietà. L’espressione più evidente di questa caduta agli inferi fu il passaggio violento delle truppe naziste in ritirata, un primo fronte interno che avrebbe anticipato le crudeltà dei lunghi scontri in un’ampia striscia di territori tra l’alto casertano ed il basso Lazio. Fu ancora una volta la Campania, come racconto da tempo attraverso i miei testi, la prima area ad essere pesantemente coinvolta in ciò che viene da tempo definito il periodo del terrore o, più frequentemente, ‘delle stragi naziste’. I tedeschi in ritirata, più o meno consapevoli della sconfitta in arrivo, sfogarono sulla popolazione civile italiana la rabbia per il tradimento subito dai vertici Istituzionali italiani.
La provincia di Caserta, beffardamente soppressa da quel fascismo che aveva portato l’Italia in guerra, fu una delle aree più importanti per le operazioni belliche naziste dopo lo sbarco di Salerno. La ritirata dei tedeschi era stata studiata per rallentare il più possibile l’avanzata del nemico verso Roma e, guarda caso, le principali linee di difesa si dipanavano proprio nell’area dell’alto casertano prima ancora di attestarsi sulla Linea Gustav, nota causa dell’annientamento dell’abbazia benedettina di Montecassino. Le direttive di Hitler erano chiare. Non si doveva consentire alla popolazione italiana alcun tipo di ribellione e per evitare ciò i vertici militari tedeschi avrebbero dovuto assumere un durissimo atteggiamento ritorsivo contro chiunque avesse osato sabotare o colpire l’esercito del Führer in Italia. Di non scritto, però, c’era anche da considerare il sottinteso atteggiamento di occupazione, prevaricazione e violenza, insiti nella guerra e soprattutto in chi batte in ritirata su un territorio oramai considerato nemico. Ordini che, puntualmente usati nel casertano, alimentarono le stragi di Caiazzo, Bellona, Caserta (Garzano), Conca della Campania e, tra le molte ancora da citare, Marzano Appio, precisamente in località Campagnola.
Una storia tragica che, in quel 10 ottobre del ’43, a poco più di un mese dallo sconquasso del cosiddetto “armistizio“, falso storico in quanto si trattò di documentata resa incondizionata, vide protagonista anche la coraggiosa sig.ra Carina De Quattro, all’epoca dei fatti fanciulla, purtroppo venuta a mancare pochi giorni fa dopo averci raccontato con lucidità, più volte, il volto efferato della guerra.
I tedeschi, in perlustrazione in zona Campagnola, pare per recuperare cibo, incontrando sulla propria strada una masseria, pensarono bene di dirigersi subito verso il locale provviste. In quei momenti, sebbene la reale causa sia ancora da accertare inequivocabilmente, furono attaccati da un giovane che lanciò una o più bombe a mano ferendo gravemente uno dei militi nazisti. L’agguato alla pattuglia, costretta a ritirarsi dopo aver recuperato il ferito, purtroppo morto poche ore dopo, innescò la prevista reazione dei vertici militari germanici. Nel primo pomeriggio, intorno alle ore 15, un folto numero di soldati tedeschi circondò questa frazione di Marzano Appio e prese in ostaggio diversi uomini che non erano ancora riusciti ad allontanarsi dalla zona, tra cui Alfonso De Quattro, il padre della signora Carina. In quei concitati attimi, mentre i rastrellati venivano messi in linea, ad uno dei soldati del plotone d’esecuzione partì un colpo che uccise all’istante l’uomo che era spalla a spalla con suo padre, il sig. Marcello Giacomo. In quel momento, visto che diversi parenti dei fermati erano accorsi per capire cosa stesse accadendo, la signora Carina si gettò addosso al padre insieme agli altri 8 figli del sig. Alfonso generando, pare, la compassione del Comandante del plotone d’esecuzione che, con un gesto della mano, fece capire all’uomo di allontanarsi immediatamente, mentre gli altri parenti dei rastrellati venivano immediatamente rinchiusi in un fienile. Subito dopo vennero passati per le armi i restanti 6 uomini e poi, forse per un ritrovato sentimento di pietà, anche 4 maiali per raggiungere il previsto numero di 10 fucilati per ogni soldato tedesco colpito. Le sei salme furono quindi portate al cimitero proprio con il carretto della famiglia De Quattro e tumulate, senza alcuna dignità, in tre fosse scavate per accogliere due corpi alla volta.
Di questo evento, come di tanti altri simili, pur nella loro estrema tragicità, abbiamo ereditato per circa 80 anni, quasi per “grazia ricevuta“, la certezza della presenza dei testimoni, delle anime che hanno tenuto nelle proprie mani il dolore mutandolo in monito, in esperienza, in esortazione a non ricadere nello stesso orrore. Ma tempus fugit ed i testimoni, molti dei quali già passati a miglior vita, ci stanno via via lasciando, proprio come accaduto in questi giorni alla sig.ra Carina, una grande donna che ho avuto l’onore di conoscere e intervistare, dalla quale ho imparato la dignità del dolore e la fermezza della testimonianza. Uno schiaffo potremmo dire, un ceffone morale che questi nonni universali ci regalano da decenni per tenere la società sulla retta via dell’umanità e della pace. E ora che stanno andando via? Ecco, nel ringraziare per quei ceffoni che la sig.ra Carina ha tirato anche al sottoscritto con le sue vivide parole, non posso che esortare tutti noi, a partire da storici e giornalisti cui mi onoro, nel mio piccolo, di far parte, di proseguire con maggior vigore il racconto di quei tragici episodi. Non possiamo rassegnarci al dolore e alla tristezza. C’è bisogno di rimboccarsi le maniche e mettersi sulle spalle il fardello che hanno portato questi testimoni per decenni. Ce lo hanno passato affinché il Paese che hanno ricostruito, sul sangue delle ingiustizie della Seconda guerra mondiale in Italia, possa solo ricordare e mai più provare la tragedia della guerra. Ce lo chiedono per i propri nipoti e quelli di qualunque altra famiglia italiana. Ci chiedono di dar prova di coraggio almeno con le parole, loro che il coraggio lo hanno trovato davanti alle armi spianate.
Buon viaggio Carina, cercheremo di non deluderti. A voi lettori il video della toccante intervista che raccolsi, nel 2017, per comporre il breve docufilm che porto in giro durante le mie presentazioni. Ascoltate con attenzione. Quelle parole non sono una fiction, è la realtà.

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