Sufficienza della legalità formale quando il soggetto regolatore è un organo rappresentativo della comunità. Parte II

Per l’attuazione della riforma costituzionale si deve far riferimento alla Legge 5 giugno 2003, n. 131 (cd. legge “La Loggia”, recante «Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.3»), il cui art. 2 conferisce al Governo l’individuazione delle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane e la revisione del T.U. sull’ordinamento degli enti locali, per adeguarlo alla legge costituzionale n. 3 del 2001, eliminando le norme contrastanti o incompatibili. Al riguardo, già il T.U. n. 267/2000 chiariva che la legislazione statale in materia degli enti locali e di disciplina delle funzioni da essi esercitati enunciava espressamente i principi che costituiscono limite inderogabile per la loro autonomia normativa. Ne deriva che lo Statuto, nuova fonte del diritto degli enti locali e tipica espressione di autonomia, resta subordinato alla legge ordinaria, solo per quanto attiene ai principi in esso contenuti. Si è affermato così che l’art. 6 del T.U., che riconosce ai Comuni e Province la potestà statutaria nell’ambito dei principi fissati dalla legge, deve essere intesa nel senso che una disposizione di legge costituisce limite alla predetta potestà statutaria solo se qualificabile come norma di principio.
Per quanto riguarda l’oggetto degli statuti il T.U. stabilisce che in esso sono riportate le norme fondamentali dell’organizzazione dell’ente, specificando, tra l’altro, le attribuzioni degli organi, le forme di garanzia e di partecipazione delle minoranze, la collaborazione tra Comuni e Province, la partecipazione popolare, l’accesso alle informazioni e ai procedimenti amministrativi.
L’elencazione delle tematiche dello statuto ha valore solo esemplificativo e non si esclude che lo statuto possa indicare altre tematiche idonee a caratterizzare anche ideologicamente l’amministrazione locale.
Tale conclusione appare coerente con la stessa concezione che la Costituzione e la legge hanno degli enti locali, enti esponenziali delle proprie specifiche necessità che la collettività e le concrete situazioni richiedono.
Tale concezione è messa in evidenza dal disposto dell’art. 1.3 del T. U., il quale prevede espressamente che la legislazione interessante l’ordinamento degli enti locali indichi in modo esplicito i principi ritenuti inderogabili dall’autonomia locale. Tale concezione è stata confermata dall’art. 117, co. 2, lett. p) del novellato Titolo V della Costituzione che recita: «Lo Stato ha legislazione esclusiva» in materia di «legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane (lett. p)» e dalla L. 131/2003 (cd. Legge la Loggia) all’art. 4 co. 2 e 4 che rispettivamente stabilisce: «Lo statuto, in armonia con la Costituzione e con i principi generali in materia di organizzazione pubblica, nel rispetto di quanto stabilito dalla legge statale in attuazione dell’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, stabilisce i principi di organizzazione e funzionamento dell’ente, le forme di controllo, anche sostitutivo, nonché le garanzie delle minoranze e le forme di partecipazione popolare (co. 2). La disciplina dell’organizzazione, dello svolgimento e della gestione delle funzioni dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane è riservata alla potestà regolamentare dell’ente locale, nell’ambito della legislazione dello Stato o della Regione, che ne assicura i requisiti minimi di uniformità, secondo le rispettive competenze, conformemente a quanto previsto dagli articoli 114, 117, sesto comma, e 118 della Costituzione (co. 4)».
Non sarà, quindi, più possibile opporre all’esercizio di tale autonomia l’esistenza di norme che non siano presentate espressamente come principi; né l’esistenza di principi che siano soltanto desunti in via interpretativa dal sistema complessivo.
Gli enti territoriali (Comuni e Province) si sono sempre interessati di settori quali l’assistenza, l’urbanistica, l’istruzione professionale, l’edilizia popolare.
Nello Stato liberale i regolamenti comunali hanno rappresentato per molto tempo l’unica fonte normativa; successivamente con il passaggio dello Stato da liberale a sociale, si è verificato il trasferimento di tali competenze a livello centrale. Questo fenomeno si è manifestato ulteriormente con l’avvento dell’ordinamento regionale, il quale incidendo sugli stessi settori ha comportato la riduzione degli spazi rimasti all’autonoma normativa dei Comuni e Province.
Tuttavia, con l’entrata in vigore del nuovo ordinamento degli enti territoriali si è verificato una netta inversione di tendenza con riguardo alle predette materie ed ad altre, che individuate, sono state rimesse all’autonomia organizzatoria degli enti locali: trattasi di settori nei quali si è operata un’ampia delegificazione a favore dell’autonomia statutaria per quanto riguarda le linee guida e i profili fondamentali, e dell’autonomia regolamentare, per la successiva normazione di dettaglio. In questo modo la potestà regolamentare degli enti locali, utilizzando tutte le tipologie di regolamenti, compresi, quindi, quelli indipendenti, ha riconquistato uno spazio e un ruolo di notevole rilievo.

Condividi questo articolo qui:
Stampa questo post Stampa questo post