Coronavirus, Lettera del Vescovo di Avellino, S.E. Arturo Aiello, alle monache di clausura

Il Vescovo della Diocesi di Avellino, S.E. Mons. Arturo Aiello, figlio della Chiesa di Castellammare-Sorrento (Seiano di Vico Equense), già Pastore della Diocesi di Teano Teano-Calvi dal 2006 al 2017, ha indirizzato una sentita e calorosa lettera alle monache di clausura in presenza delle stringenti disposizioni che limitano la libertà di movimento degli italiani al fine di evitare il diffondersi del contagio dall’infezione del coronavirus. Il Vescovo Aiello nel suo ministero episcopale ha sempre avuto un rapporto “particolare” con l’ordine monastico ed in modo speciale con quello claustrale. Il 24 giugno del 2011, nella prefazione al volume “Vita di San Paride”, storia e disegni realizzati dalle clarisse dell’Immacolata, monastero “Roseto S. Maria della vigna e degli Angeli”, c/o Santuario Santa Maria della vigna di Pietravairano, scrive “… C’è chi di fede ne ha ancora da vendere. E’ il caso delle clarisse dell’Immacolata di Pietravairano che, assenti in Cattedrale lo scorso 5 agosto (sono monache di clausura) e leggendo su internet l’omelia del Vescovo, vennero alla determinazione di rispondere all’SOS per il naufragio della devozione a San Paride, e, senza essersi cementate prima con opere del genere, si misero alacremente al lavoro …”. Anche nella Diocesi di Avellino Mons. Aiello vive la gioia di annoverare tra le persone consacrate le monache clarisse francescane, Superiora Madre Virginia Vistocco, che nel convento di Santa Maria della Sanità, in località Santa Lucia di Serino, rendono grazie al Signore prevalentemente con la preghiera contemplativa e, con animo paterno, le invita, caldamente, insieme a tutte le altre monache italiane di clausura, ad elevare preghiere al Creatore per combattere e sconfiggere l’epidemia dell’infezione da coronavirus.
Si riporta integralmente la significativa lettera del Vescovo Aiello, in quanto sintetizzarla o limarla si andrebbe ad incidere, non poco, sulla sua profonda essenza.
“Ci rivolgiamo a voi, sorelle <murate vive>, per chiedere la vostra preghiera, per sostenere le vostre braccia alzate, come quelle di Mosè sul monte, in questo particolare pericolo e disagio per le nostre comunità provate: dalla vostra resistenza nell’intercessione dipende la nostra resilienza e la futura vittoria. Siete le uniche italiane a non muovere un muscolo facciale dinnanzi alla pioggia di decreti e provvedimenti restrittivi che ci piovono addosso in questi giorni perché ciò che ci viene chiesto per alcun tempo voi lo fate già da sempre e ciò che noi subiamo voi lo avete scelto.
Insegnateci l’arte di vivere contente di niente, in un piccolo spazio, senza uscire, eppure impegnate in viaggi interiori che non hanno bisogno di aerei e di treni. <Dateci del vostro olio> per capire che lo spirito non può essere imprigionato, e più angusto è lo spazio più ampi sono i cieli.
Rassicurateci che si può vivere anche di poco ed essere nella gioia, ricordateci che la povertà è la condizione ineludibile di ogni essere perché, come diceva don Primo Mazzolari, <basta essere uomo per essere un pover’uomo>.
Ridateci il gusto delle piccole cose voi che sorridete di un lillà fiorito alla finestra della cella e salutate una rondine che viene a dire che primavera è arrivata, voi che vi commuovete per un dolore e ancora esultate per il miracolo del pane che si indora nel forno.
Diteci che è possibile essere insieme senza essere ammassati, corrispondere da lontano, baciarsi senza toccarsi, sfiorarsi con la carezza di uno sguardo o di un sorriso, semplicemente … guardarsi.
Ricordateci che la parola è importante se pensata, tornita a lungo nel cuore, fatta lievitare nella madia dell’anima, guardata fiorire sulle labbra di un altro, detta sottovoce, non gridata e affilata per ferire. Ma, ancora più insegnateci l’arte del silenzio, della luce che si poggia sul davanzale, del sole che sorge <come sposo che esce dalla stanza nuziale> o tramonta <nel cielo che tingi di fuoco>, della quiete della sera, della candela accesa che getta ombre sulle pareti del coro.
Raccontateci che è possibile attendere un abbraccio anche tutta una vita perché <c’è un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci> dice Qoelet. Il Presidente Conte ha detto che alla fine di questo tempo di pericolo e di restrizioni ci abbracceremo ancora nella festa, per voi ci sono ancora venti, trenta, quaranta anni da aspettare …”.
Educateci a fare le cose lentamente, con solennità, senza correre, facendo attenzione ai particolari perché ogni giorno è un miracolo, ogni incontro un dono, ogni passo un incedere nella sala del trono, il movimento di una danza o di una sinfonia”.

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