Incertezze nel nostro futuro!

Roma. Sforare il deficit non è un tabù, a patto che “quello sforamento comporta una crescita dell’economia che, a sua volta, comporta una riduzione del debito, per trasmettere effetti positivi sull’economia reale”.
Sono le parole del Presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, intervenuto ieri ad un convegno, organizzato dall’Associazione degli Industriali. Boccia ha evidenziato le turbolenze dei mercati, causate proprio dalle mosse annunciate dal Governo: “Attenzione al costo del denaro. E’ chiaro che se aumenta lo spread, poi lo pagano le famiglie, le imprese e anche lo Stato, in termini di interessi sul debito”.
Presente anche il Ministro dell’Economia. Giovanni Tria, ha ribadito che il Governo è impegnato a ridurre il debito verso l’obiettivo concordato con l’Europa. Secondo lui, nel 2019, ci sarà uno scostamento dagli obiettivi concordati con la Commissione Europea, dal precedente governo e, soprattutto, ci sarà una graduale riduzione del deficit negli anni successivi, poiché questo non è un governo dalla finanza allegra.
Il Ministro, che ha dichiarato di aver ereditato un deficit del 2%, ha quindi posto l’accento sul tema degli investimenti, rimarcando l’importanza della Cassa Depositi e Prestiti. “Nel rispetto dell’azione privata delle società quotate, credo che il Governo debba dare un contributo nell’ambito degli investimenti già previsti e, se questo avverrà, darà una forte spinta”, ha spiegato. “Nei prossimi tre anni attiveremo altri 15 miliardi addizionali di investimenti pubblici”, ha aggiunto.
Il vice Premier, Luigi Di Maio, aveva detto alla Camera: “Il governo non torna indietro: chi si illude, come il Centro Studi di Confindustria, sappia che si sta facendo una cattiva idea. Nella manovra ci saranno tutte le misure previste dal contratto”. Quanto al deficit, aveva spiegato che “sarà tenuto al 2,4% per il 2019, poi si vedrà”; mentre, secondo Salvini, “l’anno prossimo debito e deficit scenderanno”.
Sugli obiettivi rivisti, almeno per i prossimi anni, il Commissario agli Affari Economici, Pierre Moscovici, ha detto, a Parigi, che “il fatto che la traiettoria pluriennale sul deficit sia stata rivista, è un buon segnale”. Secondo il Commissario, “questo dimostra che le autorità italiane ascoltano le preoccupazioni e le osservazioni dei partner, tra cui la Commissione Europea. Poi bisognerà conoscere i dettagli e giudicare il budget 2019 per ciò che è”. Ha, comunque, assicurato che saranno rispettate le regole, poiché una crisi, tra Bruxelles e Roma, sarebbe assurda.
Sulle accuse che gli sono giunte da Di Maio e Salvini, di aver alimentato le vendite sui BTP con dichiarazioni che censuravano l’impostazione della Manovra, la risposta è stata secca: “La Commissione europea ha un ruolo istituzionale, iscritto nei trattati. Ci guardiamo bene dal fare ingerenze nella politica interna, non lo facciamo e non lo faremo, siamo semplicemente i guardiani dei trattati. Bisogna capirlo, dobbiamo essere rispettati come tali, né più né meno. Per il resto, senza essere medico, ho sempre saputo che è la febbre ad avere effetti, non certo il termometro”.
Ma l’economia italiana crescerà meno delle attese, soprattutto di quelle garantite da questo governo. È l’allarme lanciato dal Centro Studi di Confindustria, secondo cui, quest’anno, la crescita del PIL si attesterà all’1,1% e allo 0,9% nel 2019, in ribasso di 0,2% punti, per entrambi gli anni, rispetto alle previsioni di giugno.
Le stime, secondo il CSC, non incorporano le intenzioni del Governo, in attesa della legge di Bilancio ma, tra vari fattori, pesano anche, l’aumento dello spread e (come ha spiegato l’economista Andrea Montanino) l’incertezza sulla capacità dell’Esecutivo di incidere sui nodi dell’economia e sulla sostenibilità del contratto di Governo, che causa meno fiducia negli operatori. Secondo il CSC, nemmeno l’aumento del deficit al 2,4% potrebbe bastare per realizzare quanto previsto dal Contratto. Per gli economisti di Confindustria, l’aumento del deficit ipotizzato, è poca cosa rispetto agli impegni politici assunti: se le coperture non saranno ben definite, avvertono, si rischia “ex post” un rapporto deficit/pil più alto. Per il CSC, questo aumento serve solo per avviare un sostegno al “welfare”, come reddito di cittadinanza o pensioni, molto difficili da cancellare, se non in situazioni emergenziali. Ciò potrebbe portare a più tasse in futuro e ad aumentare il tasso di risparmio, già oggi. Da Confindustria arriva quindi un invito alla cautela in tema di previdenza e, in particolare, a non smontare le riforme pensionistiche, perché ciò renderebbe necessario aumentare il prelievo contributivo sul lavoro. Se il meccanismo di “quota 100”, per permettere l’anticipo della pensione, venisse introdotto, si andrebbe nella direzione opposta. Tornando al quadro macroeconomico, le prospettive sembrano ancora più fosche di quelle ipotizzate dal governo Gentiloni. Infatti, il deficit pubblico è stimato in calo all’1,8% del PIL. Questo risultato “è peggiorativo rispetto ad quanto immaginato dal governo uscente, ad aprile, che stimava per il 2018 un rapporto deficit/Pil all’1,6% nel 2018. Nel 2019, il deficit tendenziale è previsto intorno al 2%, incorporando anche il mancato aumento dell’Iva.
Il Centro studi è scettico anche su un’altra delle misure cardine del contratto di governo. L’introduzione di una “flat tax” potrebbe semplificare l’imposta sul reddito personale, ridurre i costi di adempimento, far aumentare la “compliance”.
Ma va tenuto però conto che i risultati delle simulazioni del Centro Studi di Confindustria indicano che è improbabile che il passaggio ad una quasi “flat tax” si autofinanzi con i proventi della maggiore crescita indotta. Secca bocciatura anche per il condono ipotizzato dal governo con il nome di “pace fiscale”. “ L’utilizzo regolare del condono fiscale finisce per creare problemi all’erario e compromettere le entrate future, aumentando il rischio di dover adottare misure “una tantum”, anche negli anni successivi: un circolo vizioso, in cui l’autorità fiscale perde il controllo di una parte delle entrate”, scrive il Centro Studi di Confindustria nel nuovo rapporto, sullo studio per la legge di bilancio. Mala tempora currunt!

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