Una nuova élite nel processo di innovazione e creatività dell’Italia

La selezione e la formazione di una élite dirigente è una delle tematiche principali nella vita economica e sociale di qualsiasi paese civile. Attualmente viviamo un periodo di profonda crisi di ricambio generazionale a livello di classi dirigenti. Questo gap culturale testimonia un generale e profondo invecchiamento di tutta la società italiana ed è evidente che la longevità di tutte le fasi della vita media di un individuo, faccia assistere ad uno spostamento in avanti dei vari riti di passaggio all’età adulta. Questo, tuttavia, implica anche una forte staticità sociale che rende più difficile il distacco dal nucleo familiare originario, la costruzione di un proprio ruolo sociale e una carriera autonoma e indipendente, diritto di ogni essere umano che si faccia portavoce di  valori civili. Tutto questo cristallizza il sistema Paese. In un periodo di forte crisi economica e di critica all'autoreferenzialità della casta politica, parlare di classi dirigenti significa discutere più che di una classe dirigente, un insieme di élites bloccate nel segreto delle loro debolezze, disponibili a non decidere pur di durare. Le nostre classi dirigenti sono decisamente invecchiate, prettamente maschili e per lo più sprovviste di visioni lungimiranti. Sono caratterizzate da un accentuato provincialismo culturale e scarsamente propense alla crescita di nuovi ceti dirigenti alle loro spalle. Tutto ciò sta contribuisce a privare il nostro Paese di una moderna cultura della competizione sia nelle istituzioni pubbliche che nelle aziende private dove, in particolare sulla scelta dei manager, prevale il grado di fedeltà all’impresa (nella maggior parte dei casi, a conduzione familiare) piuttosto che la prestazione performante (tipica, al contrario, di grandi imprese e multinazionali. Nel mercato del lavoro, molti giovani non hanno le idee chiare su cosa li aspetta. In gran parte, si portano dietro lacune di natura familiare e carenze formative dovute alla cattiva educazione scolastica ed universitaria. Potrebbero essere, pertanto, le imprese a colmare le carenze del sistema formativo con adeguati corsi di formazione interni del personale. Ad esempio gli imprenditori indiani investono moltissimo sulla selezione e la formazione continua del loro personale sia da un punto di vista tecnico che da quello comunicativo e di capacità di lavoro d’equipe. La carriere di questi dirigenti viene valutata anche sulla base della loro capacità di formatori.  “Fare squadra”, “fare rete” e “fare sistema” diventano le cornici culturali di riferimento e costituiscono un invito sul tema dell’innovazione unitamente alla creatività, all’ampliamento degli orizzonti culturali . C’è bisogno di una classe dirigente che sappia come produrre ricchezza in senso ampio. Valore che, in un Paese civile, deve provenire da un intero sistema sociale, culturale e produttivo nel quale il singolo possa riconoscersi e al quale possa scegliere liberamente e volontariamente di contribuire. Un sistema in cui gli sperperi di risorse pubbliche devono essere combattuti, dove la qualità e il merito devono essere premiati e la gestione delle cose risultare efficiente ed efficace in grado di assicurare competitività e produttività in armonia ai principi di solidarietà e sussidiarietà.  L’ambito locale potrebbe essere il terreno di nascita delle nuove élite,  in quanto siamo in presenza, come sottolineato dai più, della nascita di una nuova borghesia, la borghesia delle reti che si radica profondamente nei territori dove sorge e che è circondata da crescente capitale di fiducia nello svolgere il suo operato. Il punto di maggiore criticità sulla capacità di creare anche in Italia  queste nuove classi dirigenti è quanto il sistema locale resisterà in un inevitabile processo di allargamento delle proprie vedute, quanto verrà limitato da condizioni interne in questo percorso (per esempio, fattori culturali ed elementi di conoscenza tecnica e specifica) e quanto possa diventare nazionale un’élite sostanzialmente periferica.
 

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