Capua – Presentato il libro “Alla ricerca della mia Calvi” di Elda Lia, Oreste Mario Salerno e Nicola Migliozzi

È stato presentato negli accoglienti e funzionali locali del Museo Provinciale Campano di Capua il libro “Alla ricerca della mia Calvi” scritto dal Generale Oreste Mario Salerno (originario di Calvi Risorta e residente a Roma da diversi decenni) in collaborazione con il nipote Nicola Migliozzi e la nipote acquisita Elda Lia.
È significativa la dedica scritta dal Generale Salerno, protagonista-personaggio del libro, che testualmente recita: “A Calvi Risorta dove il vento racconta storie antiche e ogni pietra custodisce un ricordo”, come pure la prefazione della Prof.ssa Bianca Tufariello: “Lo scritto ripercorre tratti di storia millenaria, scorci di vita vissuta che risvegliano un passato fatto di memoria evocativa, che celebra luoghi e tempi lontani, nei quali si snodano avvenimenti quotidiani. Tutto ciò è il risultato, ovvero la sintesi di un amore schietto e nostalgico per la terra natia”.
La Prof.ssa Elda Lia, nell’introduzione scrive “È chiaro che il nostro obiettivo non è scrivere un ennesimo libro su Cales ma realizzare una specie di diario fatto di immagini e parole da leggere senza la gravità di un libro tradizionalmente scritto”.
Il protagonista del libro, Generale Oreste Mario Salerno, novantacinquenne e con disturbi agli occhi, racconta ai due coautori, Elda Lia e Nicola Migliozzi (coniugi), i suoi ricordi giovanili, le sue emozioni e il suo protagonismo giovanile e questi, con fedeltà al racconto ricevuto, lo socializzano nel libro.
L’autore inizia il “suo” racconto narrando che “Calvi Risorta già Cales è l’erede dell’antica Cales, antichissima città italica, prima sotto l’influenza greca e fenicia poi etrusca e romana, questa discendenza è testimoniata dai tanti reperti archeologici venuti alla luce da sempre”. Con struggente amarezza e delusione narra anche “È un vero peccato, i caleni non hanno saputo difendere la loro storia, il loro glorioso passato e la possibilità di far crescere nuove generazioni orgogliose e consapevoli del valore insito nelle innumerevoli testimonianze che vanno dai reperti archeologici al sapere immateriale”. Suggestiva è la descrizione che fa della vita di un ragazzo prima, durante e dopo la Seconda guerra mondiale nella “sua” Calvi Risorta e per renderla quanto più possibile aderente alla realtà descrive la sua infanzia, fanciullezza, gioventù e le problematiche legate ai suoi studi compiuti fuori dal luogo di residenza, la configurazione della sua casa “abitativa” e la variegata vita del “vicinato”.
Si sofferma, poi, su “Il problema del corredo” per le giovani in vista del matrimonio e su “Lo stizzo”, consistente in “un contratto scritto e firmato dai suoceri che si impegnavano a restituire tutto il corredo della sposa, debitamente descritto in questo documento, nel caso di morte della sposa, evento purtroppo frequente all’epoca” e su “La Pittima”, costituita da “una strana procedura per risolvere problemi di insolvenza ed altri problemi fra concittadini, in pratica era una figura che fungeva da garante”.
Nei ricordi del generale Salerno trovano spazio e visibilità anche “Il cuciniello”, riunione tra ragazzi per festeggiare, ma sempre rigorosamente separati per sesso; “La coltivazione della canapa” che “era diffusa in tutto il territorio campano e anche a Calvi si coltivava e si trasformava questa pianta”; “La produzione del grano” e “a Calvi la maggior parte dei terreni erano destinati alla coltivazione del grano, da cui si ricavava la farina, elemento principe dell’alimentazione di quei tempi”; “Il guanto caleno”, originale e tipico “dolce a forma di corona che non si produce in pasticceria ma nel segreto delle case”; “Il circolo sportivo-culturale”, tra le cui attività spiccavano l’organizzazione di “corse campestre, tornei di scacchi o di dama nonché di giochi di carte” e convegni culturali sui grandi della letteratura italiana tra i quali Manzoni e Leopardi; La “Banda” di Visciano formata da una ventina di elementi tra i quali solo due/tre conoscevano la musica e la “maggioranza era totalmente priva di conoscenza in ambito musicale, ma riusciva ad imparare alcuni motivi che suonavano con degli strumenti a dir poco bizzarri”.
Nel racconto trovano voce anche la “sua” Piazza, quella della frazione Zuni, che negli anni trenta si imponeva per la presenza di un maestoso albero sotto la cui ombra “c’era sempre qualche vecchietto che ci raccontava i fatti della grande guerra” e “delle frequenti visite del re a Calvi, magari dopo una battuta di caccia ai cinghiali, in compagnia del barone Zona, medico di corte”; “La vendemmia” in quanto costituiva per i giovani del tempo occasioni per provare ebbrezza e felicità in quanto “il folto fogliame del vigneto costituiva un verde nascondiglio per noi ragazzi che approfittavamo per qualche timido approccio con le giovani impegnate anche loro nella raccolta e dopo maliziosi sguardi tra i filari qualche bacetto ci scappava”; “La raccolta delle olive” che rappresentava l’occasione per “essere informati sulla situazione affettiva di quelle bellissime ragazze che vivevano nei casolari isolati nelle campagne e che noi giovanotti di paese non avevamo modo di incontrare perché oltre la messa della domenica non c’erano altre occasioni di uscita per queste figliole”; “U puorc ‘e sant’Antonio”, simpatica usanza annuale, “alla fiera veniva comprato un maialino che apparteneva a tutti, questo maialino girava libero per il paese e tutti gli davano da mangiare, era considerato sacro e nessuno pensava di maltrattarlo o rubarlo. Alla fine si vendeva e il ricavato veniva usato per i festeggiamenti del santo”.
Nella parte finale del libro trovano spazio “Le congreghe”, la cui iscrizione all’associazione dava diritto “al funerale e alla sepoltura nella cappella parrocchiale per vent’anni”; “Le attività industriali” concentrate nella “fabbrica” Moccia che “produceva mattoni in laterizio, era una bella realtà produttiva che dava lavoro a un centinaio di operai”; “La bottega della gassosa” per la cui produzione “si usava l’acqua proveniente dalla sorgente che si trovava nelle prossimità della Cappella della Madonna di Loreto, sulla strada per Rocchetta”; “Il fusillo caleno”, produzione calena ormai estinta “formato di pasta era già in uso nel periodo romano e la sua produzione si è protratta fino agli anni ’40 in un pastificio ubicato all’interno del palazzo del vescovado, vicino la cattedrale romanica”; “Lo spirito competitivo”, presente in ogni evento, consistente nella preparazione di dolci, nel confezionamento di abiti, nella potatura di alberi e “la domenica avveniva lo scontro tra le ragazze che sfoggiavano i vestiti che avevano cucito in gran segreto e li esponevano al pubblico giudizio attraverso una vera e propria sfilata sulla scalinata della chiesa”.
Il Generale Salerno conclude il suo suggestivo racconto soffermandosi sulla “Nostalgia” e dice: “Era una vita meravigliosa rivedendola adesso perché quando la vivevamo ci sembrava tutto normale. Per chi come me ha vissuto lontano dal paese questi ricordi fanno affiorare la nostalgia. Quando si vive lontano dal paese natio, i ricordi sono una preziosa risorsa che ci dà conforto nei momenti più delicati; purtroppo quando si torna, spesso, si rimane deluso, perché le cose cambiano. (…) Per me raccontare questi ricordi è stato come rivivere la gioventù ormai lontana e mi fa piacere che questa mia testimonianza possa essere utile affinché non si perda la memoria di un modo di vivere ormai scomparso ma che conservo nel cuore”.

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