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Il Presidente del Consiglio Nazionale A.N.DI.S.: “C’era una volta il Direttore didattico”

Il Presidente del Consiglio Nazionale dell’Associazione Nazionale Dirigenti Scolastici – A.N.DI.S. – Nicola Putilli, sul blog dell’Associazione ha pubblicato un esaustivo e pregnante documento dal titolo “C’era una volta il Direttore didattico” nel quale focalizza, con arguzia, spirito critico ed esperienza sul campo “la dirigenza scolastica” e il “Dirigente scolastico” istituite a seguito dell’attribuzione agli istituti scolastici dell’autonomia.
Del documento, interessante e pertinente, se ne pubblicano solo alcuni significativi stralci.
“In una dichiarazione rilasciata qualche tempo fa al Corriere della Sera sul previsto ulteriore taglio di autonomie scolastiche disposto dall’ultima legge di bilancio, il Presidente di ANP Antonio Giannelli sottolinea il rischio di ingestibilità amministrativa degli istituti sovradimensionati. Giannelli ha ragione da vendere, anche in considerazione della condizione di perenne emergenza in cui da troppo tempo versano gli uffici amministrativi delle scuole fra carenze, precarietà e inadeguata formazione del personale. Mi ha tuttavia colpito l’assenza di argomentazioni circa la “gestibilità” didattica di tali strutture peraltro comprendenti, come nel caso degli istituti comprensivi, diversi ordini di scuole. Sarà che ho trascorso poco più di una decina di anni nel ruolo di Dirigente scolastico mentre una ventina circa in quello di Direttore didattico, ma sempre mi ha guidato la convinzione che una buona amministrazione e organizzazione non avessero altre finalità se non l’innalzamento della qualità del progetto formativo e della didattica.
Il passaggio alla dirigenza scolastica è stata una logica conseguenza dell’attribuzione dell’autonomia. Non che prima ci fossero sostanziali differenze fra il ruolo di preside e di Direttore didattico, entrambi inquadrati nel IX livello del contratto di lavoro dividevano analoghe condizioni retributive e di stato giuridico, mentre diverse erano, di fatto, le modalità di reclutamento: sempre attraverso regolare concorso, molto selettivo, nel caso dei direttori didattici, spesso con concorso riservato, decisamente più abbordabile, nel caso dei Presidi. Diversa, inoltre, la formazione di provenienza: quasi sempre laurea di natura disciplinare per i presidi, non sempre, ma molto spesso, laurea in pedagogia per i direttori didattici, provenienti dall’istituto magistrale, dove un po’ di pedagogia e di psicologia l’avevano pur masticata, e dalla facoltà di magistero.
(…) L’avvento dell’autonomia e della dirigenza, nonché la formazione comune di 300 ore tra Direttori didattici e presidi che l’hanno accompagnata, ha comportato, com’era logico che fosse, un radicale cambiamento di prospettiva. Per quanto il nuovo assetto normativo non prevedesse in alcun modo una diminuzione delle competenze e delle responsabilità del nuovo Dirigente scolastico in campo pedagogico e didattico, l’enfasi si è di fatto spostata, quasi inconsapevolmente, sugli aspetti gestionali e organizzativi con preciso riferimento, rispetto alla specificità del ruolo, alle teorie sul management allora prevalenti.
(…) Esigenze di svecchiamento non erano più rinviabili. Come ci spiegava Enrico Autieri, Direttore dell’agenzia formativa ISVOR, si trattava di passare da un modello burocratico-artigianale, da sempre imperante nella nostra pubblica amministrazione, a un modello a gestione professionale, di chiara derivazione aziendale, fondato su variabili di progetto: pianificazione, problem solving, misurazione, rendicontazione.
La strada era segnata ma forse sarebbe stato necessario modularla fin da subito secondo le esigenze prioritarie della nostra scuola: innalzamento qualitativo dei processi di insegnamento/apprendimento, superamento delle ineguaglianze e della dispersione scolastica, inclusione e benessere psicofisico degli studenti. Da subito doveva essere chiarito il nesso fra qualità dell’organizzazione e fini istituzionali, da questo e per questo era nata fondamentalmente l’autonomia scolastica. L’enfasi sugli aspetti organizzativi e “manageriali” ha fatto invece premio, nella percezione del ruolo del Dirigente scolastico in particolare, su quelli più strettamente pedagogici e didattici. (…).
È ovvio che non si sta auspicando un ritorno agli anni ’90, ma ad oltre vent’anni dall’istituzione dell’autonomia e della dirigenza scolastica sarebbero maturi i tempi per una rinnovata riflessione. Anche la ricerca di una giusta dimensione per le istituzioni scolastiche (da 700 a non oltre, tassativamente, 1200 alunni?) e una struttura organizzativa (middle management adeguatamente riconosciuto e formato?) idonea a presidiare gli spazi non solo amministrativi e gestionali, ma anche più propriamente psicopedagogici e relazionali, potrebbero aiutare non poco a far ritrovare senso ed equilibrio ad organizzazioni fin troppo complesse e a un ruolo ormai reso indistinto e pletorico come quello del Dirigente scolastico.
Anche nel linguaggio comune non si sente più parlare di Direttore didattico, poco usata anche la corretta definizione di Dirigente scolastico, evidentemente troppo fredda e burocratica, è rimasto il preside a rappresentare tutti. In una delle sue ultime riflessioni un caro amico, Giancarlo Cerini (Dirigente Tecnico Ministero dell’Istruzione, N. d. R.), così si esprimeva, con la consueta lucidità: “Si ha spesso l’impressione che la nuova generazione di dirigenti scolastici sia troppo preoccupata delle procedure formali e molto meno della guida di una comunità educativa”. Giancarlo non a caso Direttore didattico.

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