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Le origini della televisione italiana: la Democrazia Cristiana e Filiberto Guala

La televisione italiana nacque ufficialmente alle ore 11 del 3 gennaio 1954: a dare il benvenuto ai telespettatori furono Armando Pizzo, Mike Bongiorno e Antonello Falqui, seguiti dalla diretta di eventi sportivi, dalla musica leggera, da uno spettacolo teatrale di Goldoni, dai primi varietà (come “Teleclub”) e dalle prime inchieste (come “Le avventure dell’arte”). Nella storia della televisione italiana, gli esperti delineano un primo periodo che va dal 1954 al 1961, detto “età dei corsari”: in questi anni la trasmissione televisiva si caratterizzava per un approccio culturale. Vennero chiamate sugli schermi alcune delle figure intellettuali di spicco, esponenti della cultura dell’epoca come Umberto Eco, Gianni Vattimo, Piero Angela e Gianfranco Bettini. Il risultato fu una televisione che si rivolgeva a una popolazione italiana profondamente arretrata non solo dal punto di vista economico, ma anche dal punto di vista culturale (si registrava un’altissima percentuale di analfabetismo rispetto alle vicine nazioni europee). Per rivolgersi al pubblico, dunque, la televisione utilizzava dei contenuti di intrattenimento e al contempo di rilievo culturale, avvalendosi del supporto delle migliori menti del Paese, che misero il loro sapere al servizio dell’innalzamento della popolazione, in linea con quella che era effettivamente la missione originaria di una televisione guidata dalla Democrazia Cristiana; una missione, dunque, pedagogica. Vista la centralità della politica nella programmazione televisiva, i contenuti proposti erano fortemente controllati. Una figura chiave in tal senso fu Filiberto Guala, Amministratore delegato della RAI fino al 1956, politico molto attento alle dinamiche sociali. La sua storia è molto interessante: era un esponente dell’ala più conservatrice della Democrazia Cristiana e non aveva alcuna esperienza televisiva, in generale nessuna esperienza nel mondo della comunicazione e dei media. Era stato Presidente dell’Istituto Case Popolari, si era occupato dunque di edilizia – un altro aspetto tramite il quale passava la ricostruzione dell’Italia di quegli anni. Difatti, nell’Italia post-bellica, un Paese da ricostruire, il ruolo dell’edilizia popolare guidata dallo Stato per fornire abitazioni a prezzi calmierati alle popolazioni meno abbienti era un progetto di grandissima gittata. Siccome nell’Italia di quegli anni ogni organismo statale era gestito dalla politica, era la Democrazia Cristiana a occuparsi della gestione dei vari aspetti della vita sociale che hanno una dimensione pubblica. La Democrazia Cristiana era il partito che aveva ottenuto il maggior consenso, un partito di ispirazione cattolica che voleva trasmettere un messaggio cristiano e religioso, ma non confessionale. In questo contesto, l’uomo politico era una figura con un orientamento, con dei valori che cercava di trasportare nel settore su cui gli era stata affidata la competenza. La politica di Guala sulle prime programmazioni televisive era molto stringente, tant’è vero che venne redatto un codice di autodisciplina con delle norme ritenute consone per l’epoca: sugli schermi, il divorzio poteva essere rappresentato solo quando indispensabile nella trama e, in tal caso, l’azione doveva svolgersi in nazioni dove le leggi lo ammettessero. Anche una rappresentazione positiva o neutrale dell’adulterio e dei figli illegittimi veniva condannata. Erano proibite anche scene di incitamento all’odio di classe e accenni alla nudità e all’erotismo. Il perché di tutto questo? Molti dei contenuti della RAI delle origini erano degli sceneggiati, cioè trasposizioni teatrali o fiction di importanti romanzi dell’Ottocento e del Novecento (basti pensare a Dostoevskij e a Jane Austen, autori che hanno liberamente trattato temi scottanti per l’Italia dell’epoca). In una nazione, seppur laica, storicamente influenzata dal pensiero cristiano-cattolico, un partito di maggioranza come la Democrazia Cristiana non poteva fare altro che rimarcare ancor di più quest’ideologia e portarla sui primi schermi. Anche se la DC ha avuto lunga vita nel panorama politico italiano, lo stesso non si può dire di Filiberto Guala: la sua esperienza in RAI durò poco, poiché, nel giro di due anni venne estromesso a causa della cosiddetta “congiura dei mutandoni”, aneddoto che ha origine nelle relazioni della televisione con l’influente clima cristiano-cattolico dell’epoca. Si venne infatti a sapere che Papa Pio XII avrebbe visto un varietà in onda il sabato sera su Programma Nazionale (l’attuale RAI Uno), l’unico canale esistente. Alcuni dirigenti della RAI osteggiavano Guala per una serie di scelte che lui stava portando avanti, in particolare legate allo spostamento dei centri di produzione da Torino a Roma. Questi dirigenti, venendo a sapere che il Papa avrebbe visto la trasmissione, mandarono in scena delle ballerine con delle calze color carne che, con il bianco e nero e con i mezzi tecnologici dell’epoca, sembravano a tutti gli effetti delle gambe nude. Questo particolare, che ad oggi passerebbe inosservato, mandò su tutte le furie il Vaticano, che il giorno dopo scrisse un editoriale molto pesante sull’Osservatore Romano, l’organo ufficiale della Santa Sede, in cui criticava pesantemente questa scelta estetica. La settimana successiva Filiberto Guala impose che le ballerine andassero in onda con dei mutandoni, ovvero pantaloni che arrivavano fino alla caviglia. A quel punto la componente più laica del Consiglio di Amministrazione della dirigenza della RAI – che ancora era molto presente ed era anche legata al gruppo dei torinesi contrari allo spostamento dei centri di produzione – vide in questo gesto una sudditanza totale di Guala ai dettami del Vaticano. Per cui, preso tra due fuochi, quest’ultimo si trovò costretto a rassegnare le dimissioni e venne sostituito da Marcello Rodinò. Guala tornò ad occuparsi di case popolari per un breve periodo, per poi ritirarsi in convento e prendere i voti. Questo aneddoto ci dà l’idea del clima nel quale la televisione italiana nacque, un clima fortemente determinato e orientato da un’ideologia religiosa. Questa era la televisione delle origini, ma era anche una televisione che faceva dell’intrattenimento, capace di generare attrattività su ampie fette di popolazione.

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