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Mormonismo, non solo religione (Prima parte)

Li abbiamo visti in tanti films di costume, con lunghe carovane attraversare le sconfinate praterie americane. Erano chiamati in modo strano, sempre vestiti di nero, sia gli uomini e che le donne. Personaggi del passato quelli, attuali ancora oggi. Nella Nuova Inghilterra ed in quella parte del Midwest americano, colonizzata dagli Yankees, esisteva una categoria di persone paragonabile a quella dei “bianchi poveri” del Sud, pur non essendo affatto disagiata. Erano agricoltori ed artigiani, che si sentivano fortemente offesi dalla pietà o dal disprezzo dei vicini e costituivano una facile preda per il ciarlatanismo religioso. Il derelitto del Sud, durante quel periodo, era un individualista di frontiera, che prendeva la propria religione a dosi violente. “Quando ascolto un predicatore, mi piace vederlo agitarsi come se combattesse contro uno sciame di api”, disse una volta Abraham Lincoln.
Ma allo Kankee (termine riferito ai cittadini degli USA, in particolare quelli del nord-est, che arrivarono prima del 1776) più socievole, piaceva fondere la propria identità in un movimento di comunità, preferibilmente un movimento che gli assegnasse una posizione ben definita nella teocrazia casalinga e che gli permettesse un glorioso compenso alle innumerevoli umiliazioni di questo mondo, una volta giunto nell’al di là. Per di più, condizione da non sottovalutare, quella popolazione, quella del New England per l’appunto, aveva donne in eccedenza. Dozzine di nuove sette, prima fra tutte quella dei “Millerites” (dal nome del fondatore, l’avventista William Miller, che credeva fortemente nell’imminente fine del mondo e nel ritorno di Cristo sulla terra), facevano a gara, in quel periodo, per attirare a sé tutta quella massa di persone, che rimaneva completamente immune ai movimenti intellettuali, come l’unitarismo, cioè la tendenza, sorta già nel XVI Secolo, che contrastava l’idea della trinità divina, sostenendo l’unità assoluta di Dio e l’umanità di Cristo.
In quello scenario religioso, debole e sorretto da fuorvianti preconcetti, nacque il prodotto più duraturo e di maggior successo: la “Chiesa di Gesù Cristo dei Santi dell’Ultimo Giorno (The Church of Jesus Christ of Latter-day Saints”), comunemente conosciuta come la setta dei Mormoni. Il termine “mormonismo” deriva da Mormon, il profeta che, secondo la tradizione, scrisse il libro cardine della congrega e che il fondatore della stessa, Joseph Smith, pubblicò, dichiarando di averlo tradotto in inglese da tavole d’oro scritte in un’antica e sconosciuta lingua, che chiamava “egiziano riformato”, tavole donategli da un angelo di nome Moroni. L’epiteto “mormone” fu utilizzato fin dai primissimi tempi, da chi non apparteneva al nuovo movimento, in alternativa a quello di “Santi”, come invece preferivano farsi chiamare i seguaci. In seguito, l’appellativo fu ufficiosamente accettato dai fedeli.
Joseph Smith era nato il 23 dicembre 1805, nel Vermont, a Sharon. Figlio di poveri contadini, che credevano fermamente nelle visioni e nei prodigi d’ogni genere, dopo molte peregrinazioni, cambiando residenza almeno dieci volte in diciannove anni, con la famiglia, si fermò, nel 1819, a Manchester, nello Stato di New York. Proprio in quel periodo, la parte occidentale della regione era teatro di innumerevoli polemiche tra le varie congregazioni, che erano vivissime e producevano un numero esorbitante di nuovi profeti. Il giovane Smith, nonostante una scarsissima cultura (non seppe mai né leggere né scrivere correntemente) si appassionò moltissimo ai problemi di culto e ben presto cominciò a narrare le proprie visioni mistiche. A 15 anni, raccontava, gli apparvero Dio Padre e Gesù Cristo, che gli dissero di non aderire a nessuna setta, perché tutte in errore. Il 21 settembre 1823 gli comparve l’angelo Moroni, messaggero di Dio, che gli ordinava di rivelare al mondo l’unico vero credo, la cui dottrina avrebbe appreso da un libro, formato di lastre d’oro e nascosto in una grotta della collina di Cumorah, presso Manchester. Il giorno dopo il giovane, recatosi nel luogo indicatogli, trovò le lastre, sulle quali erano incisi strani caratteri, ma soltanto dopo quattro anni ed altrettante visite, gli fu concesso di portare con sé il libro, assieme a due diamanti, i quali, montati in argento come occhiali e fissati a un pettorale di rame, gli Urīm e Tummīm biblici (una specie di sorti sacre, con cui, nell’antico ebraismo, veniva consultata la divinità), gli avrebbero permesso di comprendere il libro, scritto in “egiziano riformato”. Le lastre, gli occhiali e il pettorale furono restituiti all’angelo Moroni alla fine della traduzione che, a dire dello stesso Joseph, lui cominciò, nel febbraio del 1828, a dettare ai suoi amanuensi, “tenendo innanzi agli occhi il cappello con gli occhiali dentro”. Nacque un libro-vangelo, dal titolo di “The Book of Mormon”, pubblicato nel 1830.
Consiste in una noiosa antologia di esperienze personali, nozioni religiose e ciarlatanismo storico, scritta in uno stile monotono e pretenzioso, ad imitazione della Bibbia, senza alcuna traccia di sentimenti poetici o elevati, piena di anacronismi ed ingenuità. Descrive la storia di certe “tribù perdute” d’Israele, che i Santi avevano l’ordine di liberare dal paganesimo. L’opera è spesso interrotta da parabole, da visioni, da esortazioni, echeggianti controversie e polemiche, contro cattolici, liberi pensatori e massoni. Poche le tracce di quelle che sarebbe stata, nell’evoluzione del tempo, la dottrina dei mormoni. Solo l’affermazione, costantemente ripetuta, che la rivelazione divina è continua in tutti i tempi, la negazione del peccato originale e, di conseguenza, il rigetto del battesimo. Il mormonismo crede nella Trinità, ma il Padre e il Figlio sono persone corporee, mentre lo Spirito Santo è un essere di materia più sottile, aspetto che gli consente di pervadere il mondo intero e di riempire le persone consacrate, mediante l’imposizione delle mani. La Trinità rappresenta la suprema divinità e abita nell’ipotetico pianeta Kolob. Dopo la prima resurrezione, Cristo fonderà in America un regno mormone, nel quale ogni individuo giungerà a cento anni di età. Ad una seconda resurrezione, seguirà il Giudizio Universale, che “porterà i mormoni al completamento nella divinità” [lett.].
Tornando al percorso storico, subito dopo la pubblicazione del libro, Smith diede vita alla “Chiesa dei Santi dell’Ultimo Giorno”, una teocrazia cooperativa, in cui tutto il potere era nelle sue mani, divenendo “Profeta” alla sommità di una complicata gerarchia. Senza alcun dubbio, si rivelò abilissimo e se lo si paragona ad alcuni di quegli scialbi intellettuali, che fondarono in quell’epoca altre comunità, come quelle ispirate alle dottrine di Fourier, Smith appare un uomo impettito, gioviale e vigoroso, il quale “governava, circondandosi di fasto e godeva del potere, della pubblicità e del fatto di essere venerato”.
La prima comunità di Mormoni sorse a Kirtland, nell’Ohio. Ma, allo scopo di avvicinarsi alle fatidiche “Tribù Perdute”, si spostò in una località nei pressi di Indipendence, in Missouri. L’ostilità della devota gente di frontiera costrinse i “Santi” a trasferirsi nuovamente. Scelsero una località, che chiamarono Nauvoo (storpiatura dell’ebraico nawa “bella”), in Illinois, sulla sponda orientale del Mississippi. In principio, furono ben accolti, corteggiati da entrambi i partiti politici. Venne dato loro uno statuto che trasformava quel luogo in una teocrazia autonoma, dove cioè la gestione delle attività religiose e di quelle governative laiche coincidevano. La colonia si sviluppò rapidamente, divenendo florida ed accogliente, anche per coloro che, quasi giornalmente, ne entravano a far parte.
A Nauvoo, Joseph Smith ebbe una nuova “rivelazione”, quella che, per volere divino, sanciva la forte valenza della poligamia e che lui, con un ristretto gruppo di “anziani”, sotto il saldo sigillo del segreto, aveva da tempo messo in pratica. Nel 1844, depositò la sua candidatura alla presidenza degli Stati Uniti, ma ciò gli alienò tanto i conservatori che i liberali. Questi ultimi, sino ad allora, lo avevano corteggiato per la sua forza elettorale. Intanto, il segreto di quel costume non poté essere conservato rigorosamente. Sebbene fosse basata su una citazione tratta dal profeta Isaia, questa “rivelazione biblica” provocò una frattura nell’ambito della comunità religiosa. Gli “scismatici” monogami, per dare un forte eco alle loro contestazioni, fondarono addirittura un giornale. Per tutta risposta, Smith, dopo l’uscita del primo numero di quello che sarebbe dovuto essere un settimanale, ne fece distruggere i macchinari. Denunciato alle autorità locali per danni alla proprietà privata, venne arrestato, assieme al fratello, e rinchiuso nella prigione circondariale di Carthage, in Illinois. Dopo due giorni, una banda di fanatici antimormoni, guidata dal predicatore Levi Williams, invase la prigione e uccise i due fratelli. Era il 27 giugno 1844.
Il martirio di Joseph Smith unì, però, i Mormoni che, nonostante un carattere docile, dettato da severi principi religiosi, diedero vita ad un’interminabile guerriglia, che causò numerosissime morti, in entrambe le fazioni. Un certo Brigham Young, ex falegname e vetraio, due mesi dopo, l’8 agosto, nominato capo degli apostoli, vincendo tutte le opposizioni, assunse la direzione della comunità. Ereditò il “mantello da Profeta” e cinque delle ventisette vedove del suo predecessore. Diresse, personalmente, le rappresaglie e per due anni, in Illinois, regnò il terrore.

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