Gli atti leciti del datore unificati dall’intento persecutorio costituiscono mobbing

Il mobbing a carico del dipendente scatta anche se la condotta posta in essere dal datore, un suo preposto o perfino dai colleghi, sia costituita da una serie di atti di per sé leciti. E ciò perché ciò che conta è le azioni che siano unificate dal disegno persecutorio. Sono quattro, in particolare, i presupposti che devono sussistere affinché si configuri la fattispecie: le vessazioni sistematiche e prolungate a carico del lavoratore; il danno alla salute riportato dall’interessato; il nesso eziologico fra le condotte datoriali e il pregiudizio patito; l’elemento soggettivo rappresentato dall’intento persecutorio che unifica tutti i comportamenti. È quanto emerge dall’ordinanza 38123/21, pubblicata il 2 dicembre dalla sezione lavoro della Cassazione, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, che assume una rilevanza proprio in tale ambito e costituisce un ulteriore significativo precedente in materia. Sono bocciati sia il ricorso del Comune sia quello della dipendente: l’uno contestava la condanna, l’altra pretendeva un risarcimento maggiore. Diventa definitiva la pronuncia che dispone a carico dell’ente locale il pagamento di un risarcimento di oltre 62 mila euro in favore della dipendente, dei quali oltre 10 mila a titolo di danno non patrimoniale. E ciò perché la funzionaria è progressivamente messa ai margini dell’ufficio, pur conservandone la titolarità: oltre a essere isolata, viene pure demansionata con il mancato riconoscimento della posizione organizzativa rivestita. Il tutto perché, a quanto pare, il sindaco vuole vendicarsi contro la sorella della lavoratrice che ha rifiutato di candidarsi nella lista del primo alle elezioni amministrative. Come che sia, la dipendente è trasferita in una stanza al piano terra, destinata alle relazioni con il pubblico e inadeguata alle funzioni, tra fascicoli stipati per terra. Il tutto con la scusa di dover trovare uno spazio per gli assessori uno spazio, mentre poi la stanza è assegnata a una collega. Scatta poi lo svuotamento delle mansioni: alla funzionaria sono taciute tutte le informazioni. Insomma, anche considerando legittima ciascuna delle condotte, risulta provato l’illecito compiuto in danno della dipendente con l’intento persecutorio: sussiste il nesso eziologico fra i comportamenti e il danno all’integrità psicofisica e alla dignità della lavoratrice.

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