Il Boléro di Ravel: un elogio della lentezza

La nostra società corre, a volte senza una precisa meta, e a volte può far sentire sbagliati coloro i quali non si adeguano alla stessa velocità.
“E se invece tornassimo a godere della bellezza del preparare un piatto con il giusto tempo, se ci dedicassimo alle relazioni con la giusta intensità, se ci prendessimo il tempo che serve per pensare, per costruire, per progettare; se rallentassimo, verremmo considerati dei rivoluzionari?”: queste le parole del Dottor Diego Bonifazi. “A volte accettiamo gli attuali ritmi frenetici proprio per sfuggire a problemi o pensieri che ci perseguitano; preferiamo intasare le nostre agende piuttosto che rallentare ed affrontare le nostre vere preoccupazioni. Un po’ questi ritmi esagerati ci fanno comodo!”
In effetti, dilatare i nostri spazi e i nostri tempi, renderli una “Slow Music” (termine coniato su ispirazione di “slow food”) potrebbe essere un’efficace arma ansiolitica.
Anche lo scrittore cileno Luis Sepúlveda, nella sua favola per adulti e bambini, “Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza”, ci invita a pensare a quanto la conformazione automatica ai canoni e ai ritmi societari possa portare all’apatia, alla “morte cerebrale” e non solo.
Ma, tra psicologia e narrativa, perché anche la musica e perché proprio il Boléro di Maurice Ravel dovrebbe costituire un elogio della lentezza? Ascoltando il brano durante la lettura di quest’articolo, ci rendiamo immediatamente conto di come il ricamo musicale, nella sua progressiva e irresistibile orchestrazione, introduce uno ad uno tutti i timbri e i colori strumentali, e lo fa con gradualità.
Il compositore francese parte con il primo tema melodico assegnato al flauto – lo strumento più timbricamente delicato ed etereo dell’orchestra moderna – passando poi al clarinetto e all’oboe, e si affida in seguito al fagotto che porta avanti il secondo tema melodico, per finire con la sezione più corposa, quella delle percussioni, passando dagli ottoni alle trombe e ai tromboni. Il primo elemento della composizione, l’elemento a cui è affidato l’intero pezzo, è un tamburo militare che all’inizio suona pianissimo, poggiandosi subito e in modo deciso sul ritmo. Per tutto il brano si sente questo ritmo, che quasi invita con savoir-faire ogni strumento, alcuni delicati e timidi, altri rigorosi e sfacciati.
Come ha spiegato lo studioso Giovanni Bietti, il Boléro “è un pezzo costruito senza gli ingredienti che hanno fatto la storia dell’armonia, e cioè l’elaborazione, la variazione, la modulazione, il movimento, il cambiamento. Qui dentro la varietà è soltanto di colore orchestrale, perché la pagina non è altro che un enorme, straordinario crescendo che dura una quindicina di minuti”. Insomma, la danza spagnoleggiante dal ritmo ternario diventa, nelle mani di Ravel, probabilmente la più emozionante fra le esibizioni orchestrali.
In questa ascesa della massa sonora, ascoltando la composizione non nel solito modo scontato, frettoloso, distratto – dovuto purtroppo o per fortuna alla popolarità e universalità del brano – si può davvero “gustare” la pazienza certosina con la quale Ravel cresce a mano a mano in intensità e sensualità.
Ecco come la musica, la creatività e le arti ci impongono una riflessione, quella sull’elogio della lentezza, che per molti rappresenta una cura.

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