Gladiatori, la mostra al Museo Archeologico Nazionale di Napoli

“Invitiamo due uomini valorosi a vestire l’armatura, a impugnare l’asta dalla punta di bronzo, a misurarsi l’uno contro l’altro in duello davanti alla folla” – Iliade XXIII, 1019.
I versi dell’Iliade sembrano catapultarci in un’epoca lontana, dove la gloria proveniente da una vittoria era più importante dell’attaccamento alla vita. Il kléos (gloria) che derivava dal compimento delle imprese eroiche era un valore centrale in Omero, connesso a quella che gli studiosi denominano “shame culture” (cultura della vergogna), teorizzata da Benedict e Dodds, fondata sull’importanza del giudizio sociale: era infatti maggiormente disonorevole un rifiuto della lotta e quest’ultimo era davvero eguale, se non peggio, della morte.
Risulta difficile per noi oggi vestire i panni di un gladiatore romano impugnando gladio e scudo, ma possiamo immaginare anche solo per un momento di solcare la rena rossa di un anfiteatro, suolo sacro, e andare incontro al nostro destino.
«Idoli delle folle, bramati dalle donne e protagonisti di storiche ribellioni, i gladiatori furono baciati da una fama che già alla loro epoca varcò i confini delle arene e che nel corso dei secoli si è ulteriormente ingigantita», afferma il direttore del MANN, Museo Archeologico Nazionale di Napoli, Paolo Giulierini «Basta pensare ai tanti film che ne hanno spettacolarizzato le vicende o al ruolo che il termine stesso ha assunto nel nostro vocabolario e nella quotidianità». La mostra “Gladiatori” in programma dal 28 Aprile 2021 al 06 Gennaio 2022 coniuga archeologia e tecnologia al fine di superare lo stereotipo del “morituri te salutant”, permettendo allo spettatore di rivivere e ripercorrere il fato di uomini che, diventati gladiatori per sventura, per colpa o, più raramente per scelta, avevano preferito “morire con onore” piuttosto che “servire con ignominia” i potenti, come nel caso di Spartacus, lo schiavo che sfidò l’Impero e fece tremare Roma.
Probabilmente i Romani appresero l’arte gladiatoria come rituale funerario di cui se ne ha notizia nel 183 a.C. in occasione del funerale di Publio Licinio per cui lottarono 60 coppie di gladiatori. In età imperiale, a Roma, gli spettacoli divennero sempre più costosi e acquisirono grande popolarità, divenendo oltre che manifestazioni di forza, disciplina, abilità tecniche e coraggio, anche strumenti di propaganda politico-elettorale.
I gladiatori provenivano spesso dalle province dell’Impero e poteva trattarsi di prigionieri di guerra, schiavi, criminali, condannati a morte e liberti che volontariamente rimettevano la propria sorte al lanista, il proprietario della palestra (ludus) gladiatoria. Uno dei più famosi lanisti del suo tempo, viveva a Capua, si chiamava Lentulo Batiato e riceveva i più facoltosi cittadini romani, per i quali organizzava duelli tra gladiatori tra i più spettacolari e apprezzati d’Italia.
I combattenti venivano reclutati intorno ai 17-18 anni e vivevano fino ai 30 anni circa lottando nell’arena; sono pochi infatti coloro che vantano più di venti vittorie, eccezionali sono i casi di Massimo del ludus di Capua che conquistò 36 vittorie o Fiamma che morì dopo 34. I combattimenti tra gladiatori e le venationes con animali selvatici provocavano ferite che venivano sanate da esperti chirurghi con strumenti appositi. Tra quelli rinvenuti in notevole numero a Pompei ed Ercolano ci sono bisturi con l’impugnatura in bronzo e lame in ferro intercambiabili, pinze con bracci lunghi e sottili per rimuovere frammenti di legno, un uncino per trattenere i lembi della ferita e la leva ossea per allineare le fratture scomposte. Nell’antica Roma ai gladiatori era imposto un particolare regime alimentare: al centro della dieta, come ne danno testimonianza Tacito, Giovenale, Plinio il Vecchio e Galeno di Pergamo, erano zuppe ai cereali e legumi quali orzo, miglio e grano misti a fagioli, lenticchie, fave. A tali alimenti secondo Galeno si aggiungeva un tonico a base di cenere e ossa che aveva il compito di fornire un giusto apporto di calcio.
Le armature indossate dai gladiatori variavano a seconda del tipo di combattimento: il Trace indossava un elmo di tipo attico, due alti schinieri alle gambe, una manica al braccio destro, uno scudo e una breve spada ricurva. Come di consuetudine il Trace combatteva contro il Mirmillone, caratterizzato da un elmo a tesa larga, dotato di visiera con cresta angolare, un grande scudo rettangolare, simile a quello utilizzato dai legionari ed una manica sul braccio destro armato.
In questo scenario diviso tra gloria e morte, sacrificio e sofferenza, forza ma soprattutto coraggio, neppure la colonna sonora del film “Il gladiatore”, scritta da Hans Zimmer “Now we are free” riuscirebbe a rendere la bramata libertà e la conquista del rudis, spada di legno che indicava il congedo dall’agonismo. Un giorno Roma si sarebbe frantumata, ma gli oltre 70.000 ribelli guidati da Spartacus e 78 dei gladiatori di Lentulo Batiato che tennero testa all’esercito romano dal 73 al 71 a.C. durante la terza guerra servile rimarranno per sempre impressi nel cuore di chi anela alla libertà.
Probabilmente Spartacus se avesse lasciato una testimonianza avrebbe scritto: “non c’è vittoria più grande che lasciare questo mondo da uomo libero”.

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