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700esimo della scomparsa del Sommo Poeta: dall’esilio alle vicende della Seconda guerra mondiale

A 700 anni dalla sua morte, avvenuta in esilio nella splendida città dei mosaici, la Ravenna capitale storica dell’Impero Romano d’Occidente, Dante continua ancora oggi a stupire con storie legate alla sua movimentata eternità. Sì, perché il poeta, scrittore e politico fiorentino, padre della nostra lingua, non si è limitato a regalarci una vita particolare, piuttosto ha ben pensato di creare tanto scompiglio anche dopo la sua morte.
Battezzato come Durante nella cerimonia collettiva del 27 marzo 1266, solo successivamente mitizzato nel più famoso nome sincopato “Dante”, di famiglia borghese diremmo oggi, quindi agiata ma non particolarmente facoltosa nel ricchissimo contesto fiorentino dell’epoca, il poeta dimostrò da subito una propensione per la filosofia e l’analisi del contesto politico contemporaneo.
Tante le curiosità o, potremmo dire, “scorribande” del poeta fiorentino che, grazie alla Divina Commedia, quasi tutti immaginano ricurvo sui fogli e concentrato esclusivamente nelle attività letterarie. Diversa, invece, è la realtà dei fatti di un uomo, davvero particolare, che fu promesso sposo a 12 anni e che alla moglie Gemma Donati, con cui convolò a nozze otto anni dopo quel contratto firmato dalle famiglie, non dedicò mai alcun verso durante la sua lunga e quotata carriera.
Non molti ricordano, tra l’altro, la sua partecipazione alle guerre aretino-pisane, in particolare in quella di Campaldino del 1289, citata perfino nella Divina Commedia e negli scritti di Leonardo Bruni, letterato di una successiva generazione che, studiando il già mitizzato Dante, lo ricorda tra le prime linee di quella battaglia, in particolar modo tra i cosiddetti “feditori a cavallo”.
Schierato con i guelfi bianchi fiorentini, quindi politicamente indipendentista, fu acerrimo nemico di Papa Bonifacio VIII, che per Dante incarnava la decadenza morale della Chiesa, per cui alla resa dei conti, nella Firenze dello scontro civile interno con i vincenti guelfi neri, che appoggiavano pienamente e senza alcuna critica il Pontefice, nel 1302 il poeta si ritrovò addosso una condanna che prevedeva la distruzione delle sue proprietà, una pesante multa da 5000 fiorini, l’esilio perpetuo e «se lo si prende, al rogo, così che muoia».
Insomma, la vita del Sommo Poeta appare pienamente lontana da quella di un topo di biblioteca, quella che solitamente si immagina per un genio in grado di scrivere un’opera lunghissima e universale come la “Commedia”. Ma Dante, oltre ad essere molto lontano da quello stereotipo di uomo di lettere stantio, chiuso in stanze poco illuminate, isolato dal mondo e debole, è riuscito perfino a crear gran scompiglio dopo la sua morte!
Come detto, deceduto in esilio a Ravenna, ospite d’onore di Guido Novello da Polenta, poeta e podestà della città emiliana, in attesa di un degno monumento funebre, fu temporaneamente seppellito nella cappella di questa nobile famiglia locale, nella storica Chiesa di San Francesco. È da qui che partono le nuove avventure legate al mito dantesco. Dopo pochissimo tempo, infatti, esaurite le istanze malevole dei guelfi neri, da Firenze partirono le accorate richieste di rientro dei resti mortali del proprio figlio esiliato, ufficialmente per onorarne la memoria, più probabilmente perché si era intuita la grandezza di quell’uomo ed il ritorno mitizzato del suo prestigio sull’economia locale! Ma Ravenna, mal disposta a cedere il Sommo Poeta, si ritrovò a dover congiurare per superare addirittura i dettami di Papa Leone X che, facoltoso discendente della famiglia fiorentina dei Medici, ordinò subito il recupero delle spoglie di Dante inviando direttamente una delegazione la quale, all’apertura del sepolcro, si rese conto di esser stata raggirata! Improvvisamente nessuno più sapeva dov’erano finite le ossa del poeta e, tra l’altro, per evitare un così pesante smacco politico al Papa, si insabbiò opportunamente la vicenda. Solo tre secoli dopo, nel 1865, durante alcuni lavori al convento francescano, durante la demolizione di un muro adiacente al Quadrarco di Braccioforte, un muratore recuperò uno strano cofanetto di legno in cui, grazie a delle iscrizioni, si comprese e ritrovarono le scomparse ossa di Dante. I frati, furbi come delle linci, avevano forato il sepolcro dantesco e ne avevano lentamente sfilato le ossa per sottrarle all’editto di Leone X e nel corso del tempo, arrivato il periodo napoleonico, erano poi state inserite nella cassetta di legno e murate per non farle scoprire a rivoluzionari interni e soprattutto ai francesi!
La zuccheriera, la tomba di Dante, chiamata così a mo’ di critica per le modeste dimensioni di un monumento troppo piccolo per la fama del Sommo Poeta, fu però protagonista di altre storie, in tempi molto recenti e più tragici di quelli delle vicende medievali.
Durante la Seconda guerra mondiale, infatti, le ossa furono oggetto di altri inganni, sia per proteggerle da presunte “voglie naziste”, non molto dissimili da quelle dei fiorentini precedentemente citati, sia per provare a proteggerle dai bombardamenti che colpirono duramente anche Ravenna dal dicembre del 1943. Le tanto ambite ossa di Dante, infatti, furono interrate, sostanzialmente per un anno, sotto un cumulo di terra, una sorta di microscopica collinetta, ancora oggi presente nel già citato Quadrarco di Braccioforte, dove tra l’altro agli attuali visitatori, grazie ad una piccola lapide, viene svelato tale particolare aneddoto. Il Sommo Poeta, quest’anno celebrato per il settecentesimo anniversario della morte, riposa finalmente senza più pericoli o polemiche, adorato da mezzo mondo e riposto nella sua tomba di Ravenna dal dicembre del 1945.

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