Menzogne o crude verità? (Seconda ed ultima parte)

Proseguendo nell’arduo cammino verso la verità, un altro elemento, da aggiungere al dossier, nasce dalle allusioni, fatte da alcuni storici moderni a volte un po’ troppo frettolose, su gesti e comportamenti di Riccardo II. Ad esempio, la proibizione della presenza delle donne al banchetto della sua incoronazione. Ciò non prova un granché ed è in parte spiegabile con l’assenza, nella storia di quel tempo, di quasi tutte le regine ai festeggiamenti. Si dovrebbe allora concludere, come ebbe a dire il Gillingham, che tutti i re d’Inghilterra erano omosessuali, visto che il divieto era tradizionale? Pur senza essere del tutto irricevibile a priori, questa conclusione appare effettivamente un po’ eccessiva. Lo scrittore inglese Goffredo di Monmouth (1100-1154), nella sua “Historia Regum Britanniae”, ricorda le origini troiane di alcune usanze, che sarebbero state ereditate dai Bretoni. Tra queste, egli cita, con molta precisione, la regola della primogenitura e la separazione dei sessi ai banchetti. Separazione, non proibizione. L’autore offre una descrizione molto particolareggiata delle cerimonie di consacrazione e di incoronazione del mitico Re Artù, quello della Tavola Rotonda, per capirsi. Dopo le parti celebrative vere e proprie, il sovrano era solito ritirarsi nel proprio palazzo per banchettare con gli uomini, mentre la Regina Ginevra festeggiava nel suo, in compagnia delle donne sposate. Si trattava di un’antichissima tradizione, evidentemente ancora in vigore all’epoca di Artù (VI Secolo), ma che, caduta in desuetudine, era divenuta estranea e del tutto incomprensibile per i suoi lettori della metà del secolo XII, dato che l’autore avvertì il bisogno di raccontarla. Del resto, se Riccardo avesse voluto ispirarsi a quell’usanza arturiana, l’assenza della Regina Berengarda, da sola, sarebbe stata sufficiente per annullare il banchetto riservato alle donne e la proibizione non avrebbe avuto in tal caso nessun aspetto di misoginia. Ma nessun cronista ha mai suggerito una spiegazione del genere. Quindi, Riccardo scelse di escludere dai festeggiamenti le donne, per personale decisione, non per tradizione. Questa esclusione, che prova forse una certa misoginia, non è sufficiente per sostenere la sua omosessualità.
Insufficienti, sono anche le dimostrazioni di affetto o di dolore, citate senza commenti dai cronisti, ma che gli odierni storici occidentali sono troppo facilmente portati a considerare come una prova di omosessualità, a tal punto che la contemporanea società occidentale è diventata estranea alla spontaneità ed all’effettività esuberante, ancora praticata tra gli uomini nei paesi musulmani (ma anche mediterranei), senza che si debba necessariamente trattare di strane tendenze. Così, riportando l’atmosfera cordiale degli incontri che riunirono diverse volte, a Messina, i re di Francia e di Inghilterra, Riccardo di Devizes scrisse “che Riccardo e Filippo passarono insieme parecchi giorni fra i divertimenti e che si separarono stanchi, ma non paghi”, per tornare ai loro alloggi. Si tratta di una reminiscenza letteraria, utilizzando una frase di Giovenale che richiama alla lussuria. Ma il biografo voleva davvero tingere l’incontro con una sfumatura di sensualità? E’ possibile, ma non assolutamente certo. Si possono trarre le medesime conclusioni, desunte dal racconto di Ruggero di Hoveden, a proposito dell’alleanza e dell’amicizia tra Filippo e Riccardo, quando quest’ultimo si avvicinò alla corte di Francia, abbandonate le dispute per la vecchia storia di Alice. Affermò Ruggero che “il re di Francia gli era affezionato come alla sua anima ed essi si amavano talmente l’un l’altro che, a causa dell’intensità dell’affetto che esisteva tra loro, il Signor Re d’Inghilterra suo padre [Enrico II] stupefatto si chiedeva che cosa questo significasse. Per precauzione riguardo a ciò che poteva derivarne, egli differì la sua decisione di ritornare in Inghilterra, che aveva preso precedentemente, fino a quando non fosse riuscito a sapere che cosa ci fosse sotto ad un amore tanto repentino”.
Questa volta si parla proprio di amore, ma in che senso? I due principi erano amanti fin dal 1187, eventualità che spiegherebbe l’emozione del loro incontro a Messina e la citazione sopra citata? L’intento del cronista, non è affatto quello di sottolineare il significato morale o sentimentale delle dimostrazioni di tenerezza tra i due, bensì il loro senso politico. Il Re Enrico II era preoccupato per un’alleanza strategica del figlio con il suo nemico, non per un’avventura sentimentale omosessuale, certo possibile, ma non provata. Del resto, condividere la stessa tavola, o anche lo stesso letto, all’epoca non aveva la connotazione sensuale che si potrebbe dare oggigiorno. Ruggero di Hoveden, riferisce che: “L’anno 1176, i due Re d’Inghilterra [Enrico II ed il suo secondogenito Enrico, detto il Re Giovane, che condivise fino alla morte del padre (1189) la sovranità del regno, ancorché senza effettivo potere] giunsero in Inghilterra ed ogni giorno mangiavano alla stessa tavola e gustavano nello stesso letto il tranquillo riposo notturno”. Va considerato un amore incestuoso? Assolutamente da escludere. Tali atteggiamenti sono sicuramente ambigui nella nostra società attuale. Non lo erano, di certo, in quella del XII secolo.
E poi le critiche di immoralità mosse contro Riccardo ed i racconti dei suoi pentimenti e delle penitenze che si inflisse. Di fatto, quelle accuse pesarono su Riccardo ancor più che di quelle su suo padre, che peraltro ai nostri occhi appare ben più colpevole. Molti biografi, come si è visto, fanno allusione alla vita dissoluta di Riccardo, ai suoi cattivi costumi ad alle “abitudini sregolate che aveva preso nella foga della gioventù”. Alla sua morte, durante l’omelia, vennero ricordate le sue colpe e si concordò di dire che il re, quanto meno, avrebbe trascorso parecchi anni in purgatorio (concetto inventato di recente) a causa dei suoi numerosi peccati. Del resto, da vivo, aveva ammesso la sua colpevolezza, a volte anche in pubblico e l’aveva legata a due occasioni ben precise, derivanti dal suo comportamento sessuale.
La prima, in Sicilia, antecedentemente al matrimonio con Berengaria di Navarra. Stando a Ruggero di Hoveden, in quell’occasione Re Riccardo Cuor di Leone si ricordò della “ripugnante sozzura” (foeditas) della sua trascorsa esistenza e realizzò che “i cespugli spinosi della libidine” avevano invaso il suo spirito. Si fece solennemente flagellare dai vescovi, dopo aver confessato “l’ignominia del suo peccato”. La semplice menzione dei peccati è troppo vaga per poterne trarre qualche conclusione. Anche se l’insistenza del cronista nel parlare al singolare del “suo peccato”, della “sua iniquità” e della “sua libidine”, dimostra con evidenza che si trattò di una colpa morale d’ordine sessuale. Guglielmo di Newburg descrive Re Enrico II “schiavo di quei vizi atti a disonorare ogni legge del matrimonio, generando anche bastardi”. Tuttavia, malgrado la sua giustificata ed accertata reputazione di gaudente adultero e probabilmente pedofilo, i cronisti si dimostrarono relativamente discreti sull’argomento. Il figlio Riccardo, al contrario, non violò mai le leggi del matrimonio e non v’è traccia di relazioni femminili di ogni tipo. Di qui, facile pensare che la colpa (al singolare) a lui rimproverata fosse di tutt’altra natura, rispetto alle tradizionali relazioni prematrimoniali.
La seconda vicenda si colloca nel 1195, dopo la prigionia, nel quarto anno di matrimonio con Berengaria. In quell’anno, un eremita lo andò a trovare e, predicandogli le parole della salvezza eterna, gli intimò di riflettere sulla distruzione di Sodoma e di astenersi dagli atti illeciti, altrimenti sarebbe caduto su di lui il legittimo castigo di Dio. Il Cuor di Leone, secondo Riccardo di Devizes, non cambiò mai vita. Malgrado l’avvertimento dell’eremita, voleva attendere prima un segno di Dio, segno che in effetti giunse poco più tardi, in un martedì della Settimana Santa, il 4 aprile 1195. Il Re si ammalò gravemente e vide in ciò la mano dell’Onnipotente. Chiamò al suo capezzale dei religiosi e non si vergognò di confessare loro l’indegnità della sua vita. Dopo aver fatto penitenza, ricevette sua moglie, che non vedeva da molto tempo e si unì con lei. Il Signore restituì la salute al suo corpo ed alla sua anima.
Tutto, questa volta, sembra indicare una grave colpa di ordine sessuale. Riccardo trascurava il letto coniugale, preferendo ad esso “unioni proibite”. Il riferimento a Sodoma rafforza l’idea che qui si tratti proprio di relazioni omosessuali. Nonostante ciò, J. Gillingham si scagliò contro il diffondersi di questa conclusione, accusando i molti fautori di essere privi di ogni cultura biblica. Commentò: “Negli ultimi trent’anni, sembra diventato impossibile leggere il vocabolo Sodoma, senza presumere che si riferisca all’omosessualità. Questo, la dice davvero lunga sulla cultura della nostra generazione, sulla mancanza di familiarità con l’Antico Testamento e sul crescente interesse per il sesso”. In realtà, la maggior parte dei riferimenti biblici alla distruzione di Sodoma è destinata a ricordare un castigo di Dio e non comporta alcuna allusione all’omosessualità e, nella Bibbia, la condanna dell’omosessualità non fa in genere allusione a Sodoma. E allora? Allora dobbiamo rimanere nel dubbio: calunnie o scottanti verità? Di sicuro, Re Riccardo “Cuor di Leone” è stato figlio della sua epoca, un’epoca buia, contorta, difficile da comprendere. Tutto si può pensare e dire su di lui, ma quelle immagini di epiche gesta che, da giovani senza malizia, tanto ci hanno coinvolto ed incantato, vanno assolutamente conservate indelebilmente intatte.

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