10 maledettissimi minuti: il Molise terra di mezzo, tra bombardamenti e dimenticanze

Il mainstream dell’informazione e del marketing turistico, più in generale economico del nostro Paese, da tempo ha profondamente settorializzato, quasi calcisticamente, i diversi territori regionali. Attrattori giustamente portati in gloria come Roma, Firenze, Venezia, Milano o Napoli, contornati da fenomeni paesaggistici o del lusso come isole e costiere, che, però, rilevano una vera e propria eclissi mediatica su tante altre eccellenze nostrane. Un esempio su tutti è il caso del Molise, terra dimenticata per lungo tempo dall’informazione sulla valorizzazione turistica e culturale, tanto da aver dovuto forgiare autonomamente, in modo critico e come stimolo, un vero e proprio slogan, «il Molise non esiste», poi intelligentemente mutato negli anni in senso positivo, irriverente e attrattivo.
La realtà dei fatti, quindi, è che alcune aree del nostro Paese, da nord a sud, sono da sempre poco raccontate, non solo nell’ambito del marketing turistico, ma perfino nei libri di storia, nel riportare quei tragici episodi di guerra che, da altre parti, sono diventati magari un importante volano di divulgazione dell’economia locale e della tradizione storica. È per questo che, soffermandomi ancora sul Molise, di ritorno da un viaggio in questa terra verde e libera, ritengo sia doveroso ricordare i tragici momenti che Isernia, Medaglia d’oro al valor civile proprio per gli eventi bellici, patì insieme a tutto il resto di un Paese tradito, vessato e sconvolto dall’inopportuna gestione di ciò che ancora oggi ci ostiniamo a definire “Armistizio”. L’otto settembre, sappiamo bene, fu una resa incondizionata al nemico, ma anche l’inizio di un periodo nerissimo per i bombardamenti nonostante un annuncio radiofonico che la popolazione volle interpretare, per necessità psicologica, come traguardo di pace. Come a Cassino, Capua, Formia, Gaeta, Mignano, Salerno e tanti altri centri della Campania e del basso Lazio, anche ad Isernia ci si ritrovò quindi nel limbo di un’illusoria fine dei combattimenti, distrutta tremendamente a colpi di bombe vomitate su tanti civili innocenti, molti dei quali colti di sorpresa proprio durante le celebrazioni religiose di ringraziamento per l’annuncio mal interpretato. Se Capua fu vittima nota del “giorno dopo”, quel 9 settembre ’43 in cui caddero oltre 1000 innocenti civili, il 10 di quello stesso mese anche Isernia si ritrovò in pieno giorno a subire una tempesta di fuoco improvvisamente arrivata dai monti del Longano e di S. Agapito, condensata in appena 10 maledettissimi minuti.
Dal ponte Cardarelli, nella direttrice del noto Arco di San Pietro, uno degli attrattori dell’attuale movida isernina, fino al fondamentale viadotto di Santo Spirito, tra i target da colpire per tagliare ritirata e rifornimenti ai nazisti, le bombe sciamarono colpendo tutto ciò che era vivo nei dintorni. Piazza X Settembre, generata proprio dal bombardamento angloamericano, a pochi passi dalla Cattedrale di San Pietro Apostolo, anch’essa sventrata dalle bombe, è simbolo di quella tragedia che coinvolse, si è detto per lungo tempo impropriamente, circa 4.000 cittadini innocenti. Il numero, da ridimensionare a circa dieci volte meno, direi per fortuna o per grazia divina ricevuta, non può far dimenticare però le distruzioni al bel tessuto cittadino. Piazza Mercato risultò praticamente volatilizzata, come furono ampiamente deturpate un’ala del Convitto, Palazzo Marracino, numerose case e attività su Corso Marcello, l’area confinante con Palazzo Ciampitti e quelle di Rione Mercatello e di Rione S. Lucia. Ancor più sconvolte, sparite in molti casi, le palazzine perimetrali di Piazza Concezione, quelle dell’area dello storico Banco di Napoli, come pure la Chiesa di S. Domenico. Interessante, soprattutto oggi, osservare come i cittadini e le varie amministrazioni abbiano esorcizzato quel tremendo colpo attraverso piccoli segni da cogliere passeggiando per il centro urbano, indicatori storici e culturali spesso ignorati o non conosciuti dai turisti per quel blackout informativo di cui si diceva prima. Ad esempio possiamo citare Piazza Celestino V, uno slargo, un ritrovo oramai fondamentale della città, ricavato dal crollo di numerose abitazioni del centro storico e la cui planimetria, le mura perimetrali di quei focolai domestici, per un ricordo duraturo ai posteri, sono tracciate idealmente nella sua pavimentazione postbellica.
Abbiamo sotto gli occhi tutto ciò che serve, oggi, per poter ricordare il passato, cogliere eccellenze ed errori, riparare dove possibile ma, soprattutto, non ricadere “in tentazione“. Eppure, quanti di noi hanno notato quel pavimento in quella piazza? Quanti di noi, presi solo dall’egocentrismo social, dalla necessità di distrazione, magari guardando un simpatico gatto sulle tante pagine FB dedicate ai nostri amici pelosi, si accorgono di quanto c’è da vedere, da ricordare, da discutere, da mantenere vivo per poter camminare più serenamente verso il futuro?
Il Molise esiste e resiste, come esistono e resistono tutti quei territori “inesplorati” dalla maggior parte degli italiani. Esistono musei incredibili, come l’Historicus a Caspoli (Mignano Monte Lungo, CE), il Museo Académie Vitti ad Atina (FR), il Museo La Tratta a Copparo (FE) o il Museo Parco della Memoria storica di San Pietro Infine (CE) che raccontano storie affascinanti, vicine alle nostre famiglie e in grado di ricordarci come la grandezza di alcune donne e uomini sia spesso espressa nel silenzio mediatico più assoluto. Sta a noi, sapiens moderni, cogliere gli attimi e la bellezza di tali luoghi. Lasciamo perdere le scarpe griffate da modelle e modelli costruiti artificiosamente con il marketing, andiamo a conoscere chi davvero rese grande il nostro Paese o lo risollevò dopo la tragedia della guerra. Buona scoperta a tutti!

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