Riflessioni conclusive sulla dipendenza affettiva

La dipendenza affettiva costituisce un grave disagio che incide in maniera sfavorevole sulla vita del soggetto che ne soffre e sulla sua sfera familiare ed affettiva. L’obiettivo, dunque, è riacquistare la salute facendo retrocedere pian piano la malattia: purtroppo non è una remissione miracolosa, per sfortuna non è una regressione spontanea, ma un viaggio impervio, un percorso difficile la cui meta è riguadagnare l’egemonia sulla propria esistenza, prendere coscienza di una realtà fallace e rettificare il proprio “modus operandi”. Non è possibile, dunque, attendere un mutamento macchinale, un naturale risanamento, bensì bisogna intraprendere un percorso al fine di sostituire le idee insane e le condotte negative, e solo in seguito ad un’analisi attenta è possibile ripristinare una corretta visione della realtà. L’introspezione meditata avviene analizzando la psiche brulla e desertica, e rivalutando il sé quale entità da non rigettare e da voler bene. Per uscire dal gorgo della dipendenza, per liberarsi dal vortice del patologico, è necessaria un’“escalation” di autodisciplina, una sentita capacità di controllare la propria vita riconoscendo “in primis” la propria fragilità e ravvisare la perdita della capacità di governo dell’esistenza. Il primo step è l’“amour-propre”, l’amore verso sé stessi quale atteggiamento di considerazione della propria esistenza e di accettazione della “limitata” condizione antropica: la piena ammissione della propria fragilità umana e il rendersi conto che la malattia esercita un’azione di controllo sulla volontà permette già al paziente di vedere la luce in fondo al tunnel. In campo psichiatrico la parola “recovery” sta ad indicare “guarigione”: attraverso un iter adeguato, il soggetto può uscire dall’assuefazione, dal giogo della dipendenza e migliorare il proprio pensiero vitale. Poi l’impegno cosciente di voler percorrere la galleria oscura dopo l’accettazione di essere malati porta al di là del problema. Il dipendente affettivo vive alle “dipendenze” del giudizio altrui: i bisogni non sono i suoi, i valori sono quelli traslati dal gruppo sociale, non conosce le sue necessità, non comprende le sue urgenze. L’individuazione della scala valoriale spirituale e del sistema etico di riferimento dell’individuo deve sostituire quelle altrui, cioè quelle che hanno determinato scelte e condotte patologiche prima della presa di coscienza da parte del soggetto dipendente: esigenze, bisogni, desideri e necessità sono le “keywords” per una guarigione significativa. Una volta accettata la propria condizione morbosa, lo step successivo è la risposta del soggetto alla propria condizione, la replica psicologica per eliminare, o perlomeno ridurre il problema. Questa maturazione intellettiva porta ad una minore aspettativa di comportamento da parte del “social group” di riferimento, ad una libera autonomia etica e ad una diminuzione delle nevrosi conflittuali di adleriana memoria. Allora deve diventare egoista? L’egoismo viene definito come l’“atteggiamento di chi si preoccupa unicamente di sé stesso, del proprio benessere e della propria utilità, tendendo a escludere chiunque altro dalla partecipazione ai beni materiali o spirituali ch’egli possiede e a cui è gelosamente attaccato” (https://www.treccani.it/vocabolario/egoismo/). La risposta è “No!”: deve riuscire ad armonizzare le capacità dell’intelletto e le attitudini della psiche, deve calibrare le proprie scelte, deve agire responsabilmente secondo principi nuovi, deve amare il prossimo amando prima sé stesso. Desidero citare qualche verso del brano “Guerriero” del cantante viterbese Marco Mengoni, contenuto nell’album “Parole in circolo” del 2015: “Solo sulla cima / Attenderò i predoni / Arriveranno in molti / E solcheranno i mari / Oltre queste mura troverò la gioia / O forse la mia fine comunque sarà gloria” (http://testicanzoni.mtv.it/testi-Marco-Mengoni_521759/testo-Guerriero-41150682) … per il dipendente affettivo quei predoni sono il sentimento del senso di colpa, l’emozione della vergogna, il pessimismo, i rapporti dannosi, il timore dell’abbandono, il giudizio negativo di sé stessi … chi intraprende il percorso di guarigione deve tenere a mente che “Vincit qui patitur!” (“Chi la dura la vince!”). Lo svago è un toccasana per distogliere i pensieri da preoccupazioni insane e sollevare la psiche da ansie e inquietudini: mettere in risalto sé stessi e praticare attività piacevoli e rilassanti, così facendo le relazioni interpersonali, gli effetti degli eventi cognitivi, il modo di percepire sé stessi e il prossimo tenderà esponenzialmente a migliorare. La distrazione allontana gli assilli, il divertimento esorcizza le apprensioni, il diporto rimuove i turbamenti: la messa in rilievo delle qualità personali e la rivalutazione del sé un tempo trascurato conduce ad una crescita personale senza eguali. Dunque, αὐτόνομος, autonomia senza interferenze o pressioni, libero arbitrio per vivere senza costrizioni la grande avventura della vita.

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