Marzo 1943: lo strano caso della Caterina Costa e della Alessandro Volta

«Il posto migliore per nascondere qualcosa è in piena vista». Partendo dalla citazione del grande autore americano Edgar Allan Poe, sempre in mente quando approccio documenti e sfaccettature della Seconda guerra mondiale, oggi vi racconto la “strana distruzione” di due importanti navi della nostra Regia Marina che, tra il 22 ed il 28 marzo del ’43, contribuì in maniera sostanziale alla vittoria degli Alleati sul fronte africano. Tale storia, ancora oggi ricca di aspetti poco chiari, che probabilmente non si riusciranno mai a dipanare del tutto, permise l’avvio di quella fase conclusiva del conflitto che avrebbe portato all’invasione dell’Italia e alla distruzione del III Reich. Due particolari vicende che connettono i porti delle città di Palermo e Napoli, metropoli che subirono ingenti perdite non solo per le bombe cadute dal cielo in quelle due tremende giornate, ma piuttosto per le dirette conseguenze dell’esplosione dei due vascelli pieni zeppi di essenziali rifornimenti bellici per le nostre truppe.
Il 1943, l’Annus Terribilis, fu uno dei periodi più complicati della storia del sud Italia. Sicilia e Campania rappresentavano per gli angloamericani, per ovvie ragioni geografiche, le porte d’ingresso del continente europeo e, al contrario, fondamentali trampolini di lancio dell’Asse per il fronte africano ed i suoi rinforzi. Una situazione strategica non risolvibile solo grazie ai bombardamenti ma, come per tutti i conflitti estesi nel tempo, attraverso un insieme di operazioni, anche sotto copertura e dietro le linee nemiche, in grado di scardinare o disorientare l’avversario. Ma andiamo per ordine. Se i micidiali aerei americani avevano esordito su Napoli nel dicembre del ’42, a Palermo il “grande shock” arrivò il 7 gennaio del ’43, quando una grossa formazione di B24 Liberator, provenienti dall’Egitto, schiaffeggiò pesantemente la città con l’intento di colpire il porto e, attenzione, anche i “centri politici” del regime fascista. Proprio sulla base di questa strategia non solo esclusivamente bellica, anche psicologica, esplicitata su Napoli con bombardamenti tesi a terrorizzare i civili, il mese di marzo offriva alcune date particolarmente significative da sfruttare. Il 23 di marzo di ogni anno, infatti, vi erano le celebrazioni per la “fondazione dei fasci italiani di combattimento”, mentre il 28 dello stesso mese erano previste quelle della Festa dell’Aviazione. Un obiettivo simbolico molto ghiotto per gli Alleati in virtù del progressivo scollamento politico interno che in Italia, di lì a qualche mese, avrebbe aperto le porte alla caduta del fascismo e alla resa dell’8 settembre. Così, un giorno prima delle celebrazioni del potere mussoliniano, uno stormo di B-17 si presentò su Palermo affondando decine di motovelieri ma anche alcune importanti unità della Regia Marina, anche di grossa stazza, tra cui il piroscafo Alessandro Volta che era pieno zeppo di munizioni e rifornimenti per le truppe. Grazie alla sua esplosione, molto più devastante del bombardamento, una delle sue ancore fu proiettata insieme ad altre lamiere sull’edificio della Banca d’Italia, a 800 mt in linea d’aria, mentre molti rottami centrarono il Monumento ai Mutilati, la Caserma dei VV. FF. e numerosi edifici del centro storico, mentre il Pontile Piave si squarciò per una buona porzione. Oltre tutti i pezzi lanciati sulla città, l’onda d’urto spinse la motonave Spiga e la goletta S.Gennaro sull’antistante Molo S.Lucia, e ancor peggio l’acqua sollevata da tale evento allagò un vicinissimo ricovero antiaereo dove trovarono la morte 24 operai del porto.
La tragedia di Palermo, però, fu solo l’anteprima di ciò che sarebbe accaduto il 28 marzo a Napoli, in concomitanza con la festa della Regia Aeronautica e soprattutto con le stringenti necessità sul fronte africano. L’inattesa esplosione della Caterina Costa, unità piena di viveri, munizionamento, mezzi corazzati e soldati, ormeggiata al Pontile Vittorio Emanuele, è ancora oggi ritenuta uno strano incidente, soprattutto considerando che l’episodio avvenne poco prima della prevista partenza per l’importante base costiera italotedesca di Biserta in Tunisia. Forse per un evento casuale, per alcuni storici per un probabile sabotaggio, nella nave si sviluppò un incendio che la sventrò completamente mettendo in crisi il fragile equilibrio delle nostre operazioni in Africa, contribuendo così a cambiarne le sorti e spianando la strada ai successivi sbarchi alleati in Sicilia. Ma la vera tragedia, purtroppo, fu riservata a Napoli. A seguito delle continue esplosioni, la banchina del porto dove era ormeggiata la nave sprofondò, diversi rimorchiatori affondarono, parte del porto prese fuoco e interi pezzi di nave piombarono addirittura su due fabbricati adiacenti il Ponte della Maddalena abbattendoli. La metà di un blindato cadde sul tetto di un palazzo in Via Atri, mentre schegge infuocate raggiunsero Piazza Mercato, Piazza Carlo III e la Stazione Centrale, appiccando incendi e ferendo cittadini inermi a centinaia di metri di distanza dal porto stesso, danneggiando perfino il Maschio Angioino e le sue torri. Con 549 morti e tremila feriti, tra cui il vicecomandante della Capitaneria di Porto, l’incidente della Caterina Costa fu paragonabile all’effetto di uno dei più pesanti attacchi angloamericani subiti dalla città.
Di questi due incredibili episodi non solo resta la pena per la tragedia, ma anche la consapevolezza che la perdita di queste unità rappresentò una passaggio storico decisivo verso la resa italiana ed i successivi sbarchi in Sicilia e a Salerno. La storia, a quanto pare, è fatta anche di colpi di fortuna o, “forse”, di ben studiate operazioni “dietro le linee nemiche”. Ma probabilmente non ne avremo mai le prove.

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