I disturbi dell’alimentazione

Sintatticamente “appetito” e “fame”, pur essendo usate talvolta come sinonimi, hanno significati differenti: l’appetito è la “tendenza a soddisfare le proprie necessità o i propri bisogni […]. Più comunemente, desiderio di mangiare” (http://www.treccani.it/vocabolario/appetito/), mentre la fame è la “sensazione viscerale stimolata dal bisogno del cibo, avvertita a distanza varia dal pasto, dapprima nella forma lieve di appetito, poi in quella definita di fame, caratterizzata dal desiderio imperioso di cibo, da crampi dolorosi all’epigastrio (morsi della fame), da malessere e debolezza generali che possono culminare nel deliquio” (http://www.treccani.it/vocabolario/fame/). I disturbi dell’alimentazione, dunque, vengono annoverati nel Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-5), trattato redatto dall’American Psychiatric Association (APA), un sodalizio di freniatri che ha regolamentato le disfunzioni psicopatologiche e le malattie neurologiche con le indicazioni sistematiche sul comportamento clinico da seguire. La sindrome da obesità androide e quella ginoide sono la conseguenza di patologie anaboliche e cataboliche, ma i succitati specialisti hanno studiato e categorizzato l’itinerario seguito dal soggetto. Di seguito la tassonomia in otto punti del DSM-5: 1) Pica (allotriofagia); 2) Disturbo di ruminazione; 3) Disturbo da evitamento/restrizione dell’assunzione di cibo; 4) Anoressia nervosa; 5) Bulimia nervosa; 6) Disturbo da alimentazione incontrollata; 7) Disturbo della nutrizione o dell’alimentazione con specificazione; 8) Disturbo della nutrizione o dell’alimentazione senza specificazione.
L’allotriofagia consiste nell’ingestione da parte del soggetto di materiali vari senza valori nutrizionali: se l’assunzione di tali sostanze avviene per un periodo di 30 giorni o per un tempo superiore, allora si parla di “disturbo pica” o “picacismo”. È un problema estremamente serio che innalza notevolmente la moria dei pazienti coinvolti a parità di condizioni rispetto ai soggetti in buona salute. In linea di massima si sono riscontrate problematiche attinenti l’anemia sideropenica, e tra i rischi maggiori ci sono lesioni infiammatorie dello stomaco, infezioni del tratto respiratorio, diminuzione di emoglobina nel sangue. Il picacismo assume diverse denominazioni a seconda della sostanza ingerita e molteplici sono le ipotesi oggetto di studio dall’eziologia medica.
La ruminazione consiste nel riflusso di alimenti da parte del soggetto per un periodo di 30 giorni o per un tempo superiore. Ovviamente il rigurgito non è generato da cause patologiche e gastroenteriche, e generalmente i soggetti non presentano oppressione all’epigastrio e non hanno attacchi di vomito. Il vomito è l’“emissione rapida e forzata, dalla bocca, del contenuto gastrico […], come atto riflesso di difesa provocato da cause varie” (http://www.treccani.it/vocabolario/vomito/), mentre il rigurgito è l’“emissione dalla bocca di saliva e materiale alimentare deglutito ma non pervenuto nello stomaco, o subito rifluito dallo stomaco prima di avere subìto l’azione del succo gastrico” (http://www.treccani.it/vocabolario/rigurgito/). L’atteggiamento tipico del soggetto è quello di celare l’evento, ritenuto inammissibile dalla società.
In linea di massima il disturbo da evitamento/restrizione dell’assunzione di cibo colpisce fasce sociali adulte ed è la mancanza di abilità di seguire un regime alimentare corretto e un apporto nutrizionale adeguato: la limitazione o la riduzione delle vivande produce come esiti dimagrimento, denutrizione proteico-energetica, ricorso a nutrizione artificiale [parenterale (NP) ed enterale (NE)], morbilità psicosociale. Ovviamente la patologia si ritiene tale quando nelle cause non ci sono implicazioni socioculturali e, ovviamente, quando l’esigenza dell’alimentazione selettiva avviene in presenza di disponibilità di generi alimentari. La diagnosi di disturbo da evitamento/restrizione dell’assunzione di cibo non deve essere la conseguenza correlata ai disagi bulimici e anoressici, non deve essere il frutto di altra affezione organica e non deve essere la ripercussione di infermità psichica.
L’anoressia nervosa è un Disturbo Alimentare Psicogeno: il soggetto respinge l’assunzione di vivande perché teme di mettere peso. Le conseguenze possono portare al deperimento, debilitazione, iponutrizione, inanizione, macilenza; inoltre si hanno ripercussioni suoi processi cognitivi ed emotivi, e incidenze sui modelli comportamentali e sociali. I modelli di riferimento sono la mancata immissione di calorie adeguate in base ai parametri dettati dall’IMC, fobia di ingrassare e alterazione della percezione del sé. In linea di massima il soggetto affetto da anoressia nervosa è fallace e inattendibile verso un processo diagnostico: è distaccato e simula buone condizioni corporee e mentali, ma nel quotidiano è scostante, schivo e introverso; inoltre esautora i legami sociali, cerca di sfuggire le amitié amoureuse, e mostra una diminuita dinamicità nelle movenze. Anche la sua disposizione d’animo cambia: si ritiene vilipeso per inezie e si turba visibilmente se qualcuno parla delle sue condizioni psico-fisiche. Outfit e look sono chiodi fissi. La dieta psicogena ha caratteristiche singolari: nelle abitudini alimentari è presente un’eccessiva frammentazione del cibo e una smodata masticazione, le abitudini emetiche aumentano il senso di appetenza, e l’atteggiamento familiare, qualunque esso sia, crea contrasti e disaccordi che hanno come esito un ostracismo volontario del soggetto. Il regime dietetico in un soggetto sano porta lentamente ad una mancanza di impeto verso di esso, mentre l’anoressico prova, nel tempo, lo stesso fervore e la medesima passione: qualche volta il soggetto diventa un provetto chef, ma sono gli altri a mangiare mentre egli pilucca e spizzica. La distorsione cognitiva porta ad una visione falsata del sé: la sistematica autoapprovazione, la sopravvalutazione della dimensione dell’autostima conferiscono al paziente una corazza protettiva che lo rende refrattario all’aiuto terapeutico e alle apprensioni personali.
Anche la bulimia nervosa è un Disturbo Alimentare Psicogeno: il soggetto mangia eccessivamente ed ha condotte emetiche; tale condizione deve persistere perlomeno 3 mesi, e le scorpacciate con annessi atteggiamenti di compensazione devono concretizzarsi quantomeno 1 volta ogni 7 giorni. Secondo il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-5) il soggetto mangia spessissimo a profusione e in maniera luculliana: nessun freno inibitore sembra bloccare la sua voracità. Tuttavia, al fine di non incorrere in aumenti di peso corporeo, tende ad espellere il cibo ingerito, fa ricorso a farmaci che aumentano la produzione urinaria e a stimolanti della peristalsi, si priva volontariamente dei generi alimentari, fa esercizio fisico smodato e si sottopone a preparazione atletica spropositata. La tassonomia di abitudini di bilanciamento compensatorio morbose per settimana è la seguente: 1) lieve: 1-3 eventi; 2) moderato: 4-7 episodi; 3) grave: 8-13 circostanze; 4) estremo: ≥ 14 poussée. Qualora non si avesse una continuità uniforme di tali azioni compensatorie, si parla di “alimentazione incontrollata”, o meglio di Binge Eating Disorder (BED).

Condividi questo articolo qui:
Stampa questo post Stampa questo post