Da Benevento a Rieti, le bellezze svelate dalle bombe della Seconda guerra mondiale

Con ben 55 beni culturali riconosciuti patrimonio dell’umanità e 12 iscritti nella lista del più recente patrimonio immateriale, il nostro Bel Paese si presenta costantemente sul palcoscenico mondiale quale vero e proprio serbatoio di storia, arte, paesaggio e geniale inventiva. Una penisola unica dove ogni luogo è una stratificazione millenaria di eventi da scoprire, analizzare e raccontare.
Molte delle “sue storie”, sommerse da secoli di polvere, sono state spesso svelate grazie a fortuiti e tragici episodi del passato più recente, quello profondamente connesso ai grandi conflitti del ‘900. In particolare è stata la Seconda guerra mondiale, evento globalizzante che ha mutato radicalmente tutto il pianeta, a permettere il ritrovamento di particolari tesori completamente “sovrascritti” dalle diverse epoche artistiche, religiose e politiche di un’Italia passata dall’Impero romano al Rinascimento, sopravvissuta ai totalitarismi e diventata poi adulta con la democrazia ed il consumismo di massa.
Così, negli anni ’40, tra bombe, eccidi ed occupazioni, mentre crollavano alcuni straordinari beni culturali italiani, tra cui l’Abbazia di Montecassino o la Basilica di Santa Chiara a Napoli, gli scontri bellici aprivano le porte ad una nuova vita artistica per la Basilica di Santa Sofia a Benevento e per l’Eremo di San Cataldo a Cottanello in provincia di Rieti.
Se per la particolare architettura religiosa beneventana, inserita nell’elenco Unesco dal 2011 (nell’ambito delle architetture longobarde), la graduale scoperta di nuove absidi con straordinari affreschi altomedievali fu conseguenza delle bombe americane cadute nelle vicinanze della struttura, la storia dell’Eremo di San Cataldo a Cottanello è legata direttamente agli scontri bellici di terra e alle vicissitudini dell’Italia post armistizio.
Inserito armoniosamente nella roccia granitica alle pendici della montagna del territorio di Cottanello, registrata tra l’altro come monumento naturale della regione Lazio, il particolare oratorio fu di fatto riscoperto solo a partire dal 1944 quando i nazisti in ritirata dall’area fecero saltare un tratto della limitrofa strada provinciale. La potente onda d’urto, conseguenza di un’esplosione tesa a rallentare l’inseguimento degli americani, riuscì a sbriciolare un affresco settecentesco all’interno del santuario, scoprendo così la presenza di un più antico strato pittorico sottostante e soprattutto un grande e significativo affresco medievale poi restaurato nel 1950 dalla competente Soprintendenza ai Monumenti.
Dichiarato Monumento Nazionale dopo pochi anni, più recentemente inserito perfino nel Catasto delle Cavità Naturali della Società Speleologica Italiana, nell’Eremo oggi si apprezza il particolare affresco in stile bizantino denominato “Il Redentore benedicente”, databile tra il IX e l’XI secolo, che occupa l’intera parete di sinistra della chiesa rappresentando il Cristo seduto sul classico trono mentre regge una croce con la mano destra e con l’altra, aperta alla particolare maniera greca, benedice i dodici apostoli che lo circondano. Molto significativo anche il simbolismo particolarmente evidente nella benedizione rivolta a sei sante, figure egregiamente dipinte disposte strategicamente più in basso e raccolte in devota preghiera. L’opera, ritenuta tra l’altro tra le più antiche del bel territorio sabino, ha notevole attinenza e somiglianza con alcune pitture presenti nella non distante Umbria, a Spoleto, tra cui possiamo citare il Cristo crocifisso conservato proprio nel Duomo della cittadina umbra, come pure con i vari affreschi perimetrali dipinti nell’Abbazia di San Paolo inter vineas o gli antichi frammenti nella controfacciata della Basilica di San Gregorio Maggiore. Molto interessante il simbolo del Tau della tradizione francescana, segno biblico di salvezza, dipinto e in chiara evidenza sul ginocchio destro del Redentore, motivo per cui numerosi studiosi hanno ipotizzato sia stato direttamente aggiunto da San Francesco nel 1217 proprio durante la sua permanenza per evangelizzare l’area sabina.
Da segnalare che, nonostante le operazioni belliche sul terreno di scontro, molto intense sulla strada provinciale e nell’area reatina, è ancora ben visibile un affresco rappresentante la classica figura della Madonna col Bambino, sopravvissuto alla spaventosa detonazione degli ordigni tedeschi per far crollare un vicino ponticello, mentre l’immagine di Cottanello vista dall’eremo, documentata da foto anteriori agli orribili momenti bellici, che nascondeva lo strato artistico più antico è andata sfortunatamente perduta per sempre.
Un racconto che si incrocia per storia, potenza architettonica e bellezza territoriale con la famosa pianta stellare della Chiesa di Santa Sofia a Benevento, contemporaneamente vittima e miracolo del fuoco “amico”. Sì, perché l’assurdità della guerra può anche essere condensata nell’inversione dei ruoli. I tedeschi in ritirata, potenza amica fino all’8 settembre ’43, diventati acerrimi nemici di un’Italia affamata e crollata sotto gli attacchi aerei a stelle e strisce, e gli Alleati, per lungo tempo tacciati di terrorismo contro i civili, diventati nel dopoguerra il “nuovo corso democratico” o, potremmo dire, la via per la modernità. Un’arte, anche questa, tutta politica, economica e sociale che, nonostante tutto, ha impedito al nazismo di offuscare tutto il Vecchio Continente e salvare intere generazioni dal pericolo “nero”.
Non resta che consigliare una visita a questi due tesori italiani, un viaggio tra la Benevento delle streghe e le bellezze naturalistiche del reatino, in quell’Italia che accoglie con straordinaria semplicità creando ponti e collegamenti tra regioni e “ragioni”. Quelle storiche ovviamente!

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