L’Ottava Meraviglia

Si dice, spesso: “È una delle sette meraviglie del mondo”. Ma quali sono, in realtà? Non è semplice, poiché cambiano nel tempo. Dalla muraglia cinese, lunga più di ventiduemila chilometri, a Petra, la città giordana scolpita nella roccia; dalle misteriose rovine del Machu Picchu, testimonianza della civiltà Inca peruviana, al nostro Colosseo. Dal Cristo Redentore, che svetta, con i suoi 38 metri di altezza su Rio de Janeiro, al complesso archeologico di Chichén Itza, che si sviluppa su di un’area di tre chilometri quadrati nel nord della penisola messicana dello Yucatan. Così come il Taj Mahal, mausoleo, situato ad Agra, nell’India settentrionale, costruito nel 1632 dall’Imperatore Moghul Shah Jahan, in memoria della moglie preferita Arjumand Banu Begum, meglio conosciuta come Mumtaz Mahal.
A Lisbona, in Portogallo, il 7 luglio 2007, è avvenuta la nuova scelta ufficiale delle “nuove” sette meraviglie, definite “nuove”, perché aggiunte a quelle antiche, per lo più tutte scomparse, selezionate, a partire dal II secolo a.C., dal famoso epigrammista greco Antipatro di Sidone.
Ma si parla, anche, dell’Ottava Meraviglia.
Il 24 maggio 1883, dopo una significativa cerimonia di inaugurazione, presieduta da Chester A. Arthur, ventunesimo Presidente degli Stati Uniti d’America e dal Governatore dello Stato di New York, Grover Cleveland, duecentocinquantamila persone percorsero a piedi, per la prima volta, il Ponte di Brooklyn, icona della “Grande Mela” che, attraversando il fiume “East River”, collega l’isola di Manhattan al quartiere di Brooklyn. In testa a tutti, camminò spedita Emily Roebling, che teneva, orgogliosamente tra le braccia, un bellissimo gallo, simbolo di vittoria. La donna era la nuora di John Augustus Roebling, l’ingegnere tedesco, realizzatore del progetto, che non riuscì a vedere compiuta la sua opera, perché ucciso dal tetano, dopo una banale ferita.
Suo figlio Washington, marito di Emily, che voleva a tutti i costi portare a termine l’opera paterna, per un’embolia causata dalle ripetute immersioni nelle camere di scavo sottomarine, rimase paralizzato dalla vita in giù, pochi mesi dopo l’inizio dei lavori. Riuscì, nonostante ciò, a dirigerli da una finestra, aiutato da un telescopio e dalla moglie che riferiva agli operai le sue direttive.
La costruzione doveva consentire il passaggio veloce e sicuro di uomini e merci che, prima di allora, avveniva tra mille difficoltà e pericoli, quando avveniva. L’ondata di freddo che colpì in modo memorabile la “Grande Mela”, nell’inverno tra il 1866 ed il 1867, ad esempio, isolò per mesi Manhattan, a causa del congelamento dell’East River. Il ponte venne inizialmente chiamato “New York and Brooklyn Bridge”; dopo un anno circa dalla sua apertura al traffico, diventò l’“East River Bridge”. Nel 1915, il nome fu cambiato, definitivamente, in “Brooklyn Bridge”.
Nel corso dei quattordici anni necessari per la sua costruzione, persero prematuramente la vita venti operai, dei seicento ingaggiati complessivamente. La maggior parte dei decessi avvenne per embolia gassosa, durante gli scavi, la posa ed il fissaggio dei pilastri di sostegno sott’acqua.
Il ponte costò all’amministrazione americana bel quindici milioni e mezzo di dollari, una cifra smisurata per quei tempi. Per recuperare del denaro, fu subito inserito il pagamento di un pedaggio, per il suo transito; a piedi, costava un centesimo, ne servivano cinque per cavallo e cavaliere e dieci per le carrozze. Quello pedonale fu abrogato nel 1891.
Le morti violente sembravano non volerlo però abbandonare. Nel giorno del citato primo attraversamento, nel Memorial Day del 1883, il tacco della scarpa di una donna si incastrò tra le assi dell’area pedonale. Questa iniziò ad urlare, creando, in coloro che le camminavano vicino, l’idea che il ponte stesse per crollare. Il panico si ingigantì in un batti baleno. La folla impazzita e senza più alcun controllo, nel tentativo di trovare una via di fuga, provocò la morte di dodici persone che rimasero schiacciate o calpestate. Molti furono anche i feriti. Così come si ricorda che, nel 1885, un giovane istruttore di nuoto, Robert Emmet Odlum, il primo a tuffarsi da uno dei suoi parapetti, per l’impatto, non perfettamente coordinato con le vorticose acque del fiume, morì a seguito di un’emorragia interna.
Con i suoi 1825 metri di lunghezza, era, a quei tempi, il ponte sospeso, e sorretto da tiranti in acciaio, più lungo del mondo. Per questo viene ricordato come “Ottava Meraviglia“.
Nonostante una così imponente mole, in molti temevano che non fosse sicuro percorrerlo. Un giorno, il famoso imprenditore circense Phineas Taylor Barnum, per dimostrarne la solidità strutturale, vi fece sfilare tutti gli animali del suo circo, compresa una carovana di ventuno elefanti indiani. Il ponte resse perfettamente al peso ed alle vibrazioni.
Ancora una nota di curiosità: se, durante la “Guerra Fredda”, l’Unione Sovietica avesse attaccato, con un’arma atomica, la città di New York, i newyorchesi avrebbero potuto trovare riparo proprio sotto quel ponte.
Nel 2006, durante uno dei periodici controlli alla struttura, alcuni operai hanno rinvenuto una stanza senza finestre, segretamente ricavata nelle fondamenta di uno dei pilastri portanti. Il locale nascondeva fusti d’acqua, scatole di medicinali, coperte di lana e più di trecentomila pacchetti di crackers. Gli scatoloni riportavano i timbri dell’Office of Civil Defence, un’Agenzia del Pentagono in auge negli anni ’60, con l’indicazione di due date, anch’esse impresse che, casualmente, potrebbero rappresentare la realtà di un’intera epoca: il 1957, l’anno del lancio del satellite sovietico “Sputnik” ed il 1962, quello della crisi missilistica a Cuba, risolta dopo una serie di difficili trattative, che scongiurarono il pericolo di una guerra nucleare tra le due superpotenze.

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