Gli scontri di Napoli mettono una pietra tombale sulle aspirazioni autonomiste di certe regioni del nord

Era cosa da tempo risaputa, non erano forse gli esponenti di ogni partito quelli che in questi mesi ci hanno ripetuto che occorreva scongiurare il lookdown? Che bisognava attrezzarsi per affrontare meglio della prima la, certissima, seconda ondata della pandemia? Che la rabbia sociale sarebbe esplosa in ogni piazza? E adesso allora perché meravigliarsi che si, è vero prima a Napoli, quella rabbia, quella paura di non farcela, di restare troppo a margine fino alla discarica dei disperati, sia uscita di casa per farsi vedere nelle strade?
Scontri e disordini, oltre che a Napoli, ci sono stati anche a Livorno, Milano a Londra a Melbourne ed è certo, dovremmo saperlo per esperienza, che ci saranno ovunque ci sarà un malessere non più sopportabile. Poco importa se a Napoli erano per primi i pizzaioli e gli esercenti e poi i lavoratori dello spettacolo. I professionisti del cartellino sono corsi ad appiccicarci il nome: la camorra, i fascisti, i violenti. Quello che disturba è un sistema mediatico che gli corre appresso in una gara a chi banalizza di più; a sbattere il “mostro Napoli” in prima pagina, senza il riguardo, l’attenzione, di cui godono le altre realtà.
La sostanza è che gli scontri di ieri sera sono figli dell’inefficacia di un sistema nel quale lo Stato ha delegato troppe competenze alle Regioni, ai Governatori. 20 piccoli capetti, piccoli regnanti senza esercito, che sono chiamati ad assumere decisioni che, come nel caso del lockdown ordinato da Vincenzo De Luca, se fossero state prese a livello centrale, avrebbero procurato meno spavento. Innanzitutto per le capacità che uno Stato centrale ha (o almeno dovrebbe avere, senza le confindustrie a subordinarlo) di intervenire con importanti misure di protezione sociale e con le migliori, e più certe, prospettive che può offrire.
Certo sarebbe stato meglio se in questi mesi, invece di provvedere ai monopattini per tutti, e alle rotelle sotto ai banchi (per rotolare nel baratro?) si fosse anche intervenuto per mettere il Paese in condizione di far funzionare meglio la sanità, ad esempio non lasciando soli i medici di famiglia e riattivando i posti letto che sono stati tagliati in questo decennio; potenziare i trasporti, soprattutto quelli dei pendolari e del trasporto scolastico; investire sulla scuola, con l’assunzione di personale, costruendo nuovi plessi, dando il via e una infrastruttura digitale della scuola, utile non solo per la didattica a distanza.
Ad ogni modo quello che paiono evidenti sono gli enormi limiti di una struttura amministrativa inefficace e persino pericolosa. Gli scontri di ieri, assieme alla disastrosa gestione dell’emergenza in Lombardia, rappresentano la pietra tombale su ogni ambizione di autonomia, differenziata o meno, venuta col vento del Nord.

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