Perché Nerone?

Si suole definire “maledetto” ogni personaggio condannato da Dio o bandito dalla società. Condannato da Dio, Nerone lo fu certamente, dal momento che l’apostolo San Giovanni identificò in lui l’Anticristo dell’Apocalisse. Ma quanto al rifiuto della società…….
Nerone Claudio Cesare Augusto Germanico, nato ad Anzio nel 68 d.C. col nome di Lucio Domizio Enobarbo, che fece avvelenare il fratello Britannico, sgozzare la madre Agrippina, decapitare la prima moglie Claudia Ottavia, che uccise con un calcio nel ventre, la seconda, Poppea, quando era incinta, che obbligò a svenarsi il suo precettore, che trasformò in torce umane migliaia di cristiani, al solo scopo di far luce alle sue orge, che si prostituì pubblicamente, che sposò un giovane evirato chiamato Sporo, che “forse” diede fuoco a Roma, ebbene, quest’uomo fu il più popolare fra gli imperatori.
Lo dimostra il fatto che dopo il suo suicidio, nell’anno 68 d.C., il popolo romano continuò, per lungo tempo, a vagheggiare assurdamente il suo ritorno, finendo per eleggere poi, nel desiderio di ritrovare l’amato dittatore, anche dei volgari impostori. Gli storici sono soliti giudicare con circospezione sia l’odio che l’adorazione della moltitudine; infatti, la storia, da più di duemila anni, ha sempre condannato questo personaggio che trecentomila cittadini avevano osannato. Ed allora perché questa sfrenata idolatria? Forse perché li aveva nutriti e protetti? Forse perché aveva saputo essere alla mano, offrire loro giochi e divertimenti, esporsi come attore al loro giudizio? Oppure li aveva, in qualche modo, affascinati con le sue stravaganti dissolutezze e le sue atroci mostruosità?
In realtà Nerone è il tipico esempio della profondità e della complessità delle fratture che, non di rado, si creano tra le passioni popolari del momento, originate dal fanatismo o dal disgusto, e i giudizi espressi molto più tardi dagli storici. Non si deve dimenticare che né Tito né Marco Aurelio, pur rispettivamente definiti dai posteri “il buono” e “il saggio”, seppero da vivi guadagnarsi un identico favore da parte dei sudditi. Discreto pittore e poeta, cantava, suonava la lira, recitava con entusiasmo le tragedie dei classici; per tutta la vita, l’arte lo affascinò terribilmente. Fu anche capace di passioni forti e sincere, come dimostrarono i suoi sentimenti prima per Atte (che da schiava divenne la sua favorita) e più tardi per Poppea.
Prescindendo dai mezzi e dallo scopo, la politica di Nerone fu il culto dell’arte per l’arte e l’esaltazione del lavoro. Ancora più straordinaria e singolare di quest’uomo fu l’epoca stessa in cui scatenò il suo carattere bizzarro e violento. Un’epoca caratterizzata dallo scontro di elementi opposti e contraddittori, quali lo spirito del paganesimo ed il genio romano che, esasperati l’uno dall’altro, si smarrirono nelle tenebre e negli eccessi di un’orgia sconfinata.
Fu un’epoca di grandi cambiamenti politici, economici e culturali. Proclamatosi continuatore della tradizione augustea che con lui finì, costruì la Domus Aurea, simbolo e centro funzionale di un impero basato su una clientela ecumenica; aprì le carriere ai provinciali ed ai ceti emergenti; intervenne nella politica economico-finanziaria; svolse un ruolo attivo di sprovincializzazione culturale; espresse idee urbanistiche avanzate, cui si collegava il progetto di ricostruire la capitale, dopo l’incendio.
Così lo scrittore Pausania di Periegeta commentò il gesto di Nerone che restituì ai Greci la libertà, concedendo alle loro città di eleggere i propri magistrati: “Se penso a questa azione di Nerone, trovo che Platone diceva una grande verità quando sosteneva che i crimini più atroci non sono mai opera di uomini mediocri, bensì di anime forti e generose, corrotte dall’educazione ricevuta”.
Lo storico Lucio Cassio Dione, replicò, un secolo più tardi: “Benché nettamente favorevole al terribile “eroe”, questa opinione non può certo essere condivisa. Lo scalpore, la notorietà ed il successo ricompensano gli eroi dello scandalo oltre ogni merito; essi non devono essere fatti oggetto di ammirazione. Sono schiavi dei propri istinti malvagi e danno inizio alla loro fortuna con ciò che nella vita vi è di più facile: l’intemperanza, la rivolta, gli impeti di collera. Proprio al momento di intraprendere il faticoso cammino del dovere, questi uomini privi di costanza e di coraggio, si sono lasciati precipitare in basso con aria di trionfo. Ma la realtà è che proprio con questa prima abdicazione al pudore ad alla giustizia, anche l’uomo più grande per rango sociale, talento e predestinazione si denuncia irrimediabilmente inferiore”.
E’, comunque, espressione della natura che, anche rifiutando ammirazione e simpatia agli autori di grandi delitti, l’essere umano sia, il più spesso delle volte, portato, come rapito da un’irresistibile curiosità, a concedere loro un’attenzione che raramente si è disposti ad accordare all’onore ed alla virtù. Se si riflette con attenta introspezione, ci si accorge che è proprio dell’animo umano lasciarsi attrarre da tutto ciò che colpisce; e le abiezioni avvincono irresistibilmente. Quando si pensa ai grandi colpevoli, si finisce per cercare, pur nell’orrore che essi ispirano, i segni segreti del destino. La verità è che tutto ciò che nel bene e nel male amplia la sfera d’azione della nostra libertà ci interessa come un problema personale. Cerchiamo con ansia la separazione tra vizio e virtù, quasi volessimo sapere fin dove noi stessi possiamo spingerci. Per dirla con Decimo Giunio Giovenale, retore e poeta: “Nessun altro spettacolo appassiona di più di quello della vita umana”.
Sulla base di ciò, ben si comprende come, più di ogni altro sovrano, Nerone meriti l’attenzione dei moralisti. Egli ha perseguito e praticato con ardore tutto ciò che il vizio e la virtù avevano di estremo, suscitando di volta in volta, con le sue azioni contrastanti, simpatia ed orrore. I primi cinque anni del suo regno, suscitarono l’ammirazione dello stesso Traiano, imperatore modello, che non vide nulla di più edificante degli esordi del suo, anche se non diretto, predecessore. Ben presto, però, e tutto d’un colpo, scoppiarono i crimini atroci e ripetuti, gli eccessi mostruosi, le follie incredibili, suscitando nel mondo non romano un orrore e disprezzo.
Quando apparirono all’orizzonte le prime luci dell’alba cristiana, divampò la battaglia tra gli inermi abitanti delle catacombe ed i rudi lottatori del mondo pagano. Passeranno quattro secoli di torture e di rassegnazione, prima che i carnefici dessero segni di stanchezza.
Alla crudeltà sfrenata, si opposero i lamenti di un dolore che non si lasciò abbattere. I santi lottarono contro gli scellerati, mentre i malvagi calunniavano gli eroi. San Paolo fu trascinato in catene davanti a Nerone, Tigellino perseguitò Trasea. Si ripetè, con nuove forze, l’eterna lotta tra il Bene ed il Male, sublime spettacolo che penetrò e rimase a lungo nell’animo degli storici.
Allora, in conclusione, fu solo folle e crudele? Non solo, ma in grandissima parte certo che sì. Di sicuro, però, fu uno degli imperatori più discussi ed una delle più grandi figure della storia e di Roma.

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