Il doppio ritratto dei Duchi di Urbino

Il Duca Federico III da Montefeltro, capitano di ventura, si unì in matrimonio con Gentile Brancaleoni, figlia di Bartolomeo, Rettore della provincia ecclesiastica di Massa Trabaria, e successivamente sposò in secondi voti la marchigiana Battista Sforza, figlia di Alessandro, Gran Connestabile del Regno di Napoli. Raffinato mecenate, sostenne le espressioni artistiche e le iniziative culturali della civiltà intellettuale del Rinascimento, e fece erigere la “Corte Nuova” eugubina e il Palazzo Ducale di Urbino. Per quarant’anni circa la sua politica generò empiti d’erudizione, impulsi cognitivi e ispirazioni estetiche, sviluppando una vera e propria osmosi con tutti i nuclei culturali del “bel paese”. Il successore del Duca Oddantonio II fu animato da profonda amicizia verso il pittore aretino Piero della Francesca, artista prolifico e raffinato, che dipinse per lui il cosiddetto “Doppio ritratto dei Duchi di Urbino”, olio su tavola “recto” e “verso”, custodito oggi nella Sala 8 della Galleria fiorentina degli Uffizi, dopo un iter che lo vide presente dapprima presso il Palazzo Ducale urbinate e successivamente nella raccolta privata dell’aristocratica famiglia Della Rovere. Attraverso uno studio iconografico di faleristica, si suppone che il dipinto del condottiero umbro sia stato realizzato prima di quello della consorte, mentre quest’ultimo sia stato creato dopo il 7 luglio 1472, data della scomparsa della Duchessa. Entrambi i personaggi sono dipinti di fianco: l’artista vuole rappresentare l’aspetto esteriore dei due nobili, senza voler dare loro connotazioni introspettive, e producendo un equilibrato connubio tra “l’inquadratura in primo piano” e i rilievi della “profondità di campo”. Sullo sfondo torrioni difensivi, rilievi ubertosi e ambienti lagunari, a testimonianza della grandezza socioeconomica del dominio governato dai discendenti dei Conti di Monte Copiolo. La nobildonna presenta un’epidermide luminosa quale traslato figurativo aristocratico, la pettinatura è accurata e mostra nastri e monili. Il nobiluomo indossa un abito cremisi e un copricapo della stessa nuance, dal quale fuoriescono ispidi capelli color dell’ebano; il naso, fortemente ricurvo, è la conseguenza di una ferita subita in una “giostra” d’armi. Nella parte retrostante del dittico l’artista dipinge l’apoteosi delle virtù e dei principi della dimensione dello spirito: le Virtù Cardinali e quelle Teologali, insieme a figure della tradizione mitologica, accompagnano il currus triumphalis di entrambi. La Dama è immersa nella lettura, virtù dianoetica muliebre, e sono presenti, oltre al cocchiere con le sembianze di un putto aligero, le icone di Fede, Speranza, Carità e Temperanza, insieme a due liocorni dal manto baio, archetipi di castità e fedeltà. In basso la dicitura: “QVE MODVM REBVS TENVIT SECVNDIS CONIVGIS MAGNI DECORATA RERVM LAVDE GESTARVM VOLITAT PER ORA CVNCTA VIRORVM” (“Colei che mantenne la moderazione nelle circostanze favorevoli vola su tutte le bocche degli uomini adorna della lode per le gesta del grande marito”). Una divinità con le ali porge al blasonato perugino una “corona laurea” e sono presenti Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza, inoltre un putto alato è l’auriga del carro al traino di due destrieri dal bianco mantello. Dabbasso la scritta: “CLARVS INSIGNI VEHITVR TRIVMPHO QVEM PAREM SVMMIS DVCIBVS PERHENNIS FAMA VIRTVTVM CELEBRAT DECENTER SCEPTRA TENENTEM” (“È portato in insigne trionfo quell’illustre che la fama perenne delle sue virtù celebra degnamente come reggitor di scettro pari ai sommi condottieri”). In entrambi i dipinti sono visibili le reminiscenze della scuola pittorica fiamminga, come, a titolo d’esempio, l’attenta minuziosità miniaturistica.

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