Russia: da Stalin agli esercizi di democrazia

L’instaurazione del regime comunista, voluto da Lenin, si basava su un’ideologia egualitaria: imporre un’uguaglianza sociale per tutti i cittadini, tramite il controllo, da parte dello Stato, delle attività politiche ed economiche. Iosif Stalin, salito al potere nel 1924, istituì, invece, un governo dispotico, accentratore e liberticida, che censurava la cultura o l’opposizione, mediante la deportazione e le uccisioni di massa. Fu il dittatore georgiano a volere la vergogna dei “gulag” e a potenziare il KGB (Komitet Gosudarstvennoj Bezopasnosti), la famigerata e temuta agenzia di sicurezza, attiva dal 13 marzo 1954 al 6 novembre 1991, protagonista della “Guerra Fredda”, che spiava con i suoi spietati agenti tutto e tutti, nell’Urss e all’estero.
Anche dopo la morte di Stalin (1953), l’Unione Sovietica continuò ad essere governata da un regime autoritario, consolidando il suo ruolo di grande potenza mondiale. Con Nikita Kruscev addirittura vinse la corsa allo spazio, spiazzando gli Americani con il lancio della prima navicella, lo Sputnik (1957) e l’invio del primo uomo nel cosmo, l’astronauta Jurij Gagarin (1961).
Dal 1985, Michail Gorbaciov, avviò un periodo di totale apertura internazionale, che portò alla fine della Guerra Fredda ed alla caduta del muro di Berlino, creando, con la “perestrojka” e la “glasnost”, un processo di radicale trasformazione istituzionale e di profonde riforme.
Il passaggio dall’economia pianificata a quella mista è stato, però, più difficile del previsto. Si è avuto il crollo della produzione, l’aumento della povertà, il diffondersi della disoccupazione e dell’inflazione, tutti fenomeni che hanno favorito il colpo di stato del 1991, le cui evoluzioni hanno portato alla deposizione di Gorbaciov. Boris Eltsin, eletto Presidente della Repubblica Russa, ha messo al bando il Partito Comunista ed ha accelerato il processo di disgregazione dell’Unione Sovietica, dando così vita alla Comunità di Stati Indipendenti (CSI), costituita da dodici Repubbliche sovrane.
I problemi che la Russia ha dovuto affrontare negli anni Novanta sono stati variegati e complessi. Dalla crisi economica, che ha messo in ginocchio l’industria, rivelatasi obsoleta negli impianti e poco competitiva a livello internazionale, alla crisi ecologica che ha assunto dimensioni assai gravi ed allarmanti dopo il disastro di Chernobyl (1986). In tutto lo Stato esistono, ancora, numerose centrali nucleari, missili ed armamenti, tutti in grave stato di abbandono. Una realtà complessa che costituisce un serio pericolo per l’intera l’umanità. Dalla guerra in Cecenia, che ha mietuto e continua a mietere vite umane e a inghiottire risorse economiche (un “affare” salatissimo, costato centinaia di milioni di dollari), al controverso processo di privatizzazione, il capitalismo russo oggi si presenta come una simbiosi fra il potere della “nomenklatura” (i potenti che sono stati favoriti dalle mobilità della privatizzazione), quello degli avventurieri (legati alla criminalità organizzata) e quello produttivo (concentrato nelle piccole e medie imprese).
Eltsin, definito l’ultimo zar, ha gettato la spugna il 31 dicembre 1999, dopo aver trasformato radicalmente il Paese. Travolto dalle critiche, ha passato la mano al suo delfino, Vladimir Vladimirovic Putin. Decisionista, abile ed astuto, ex membro del KGB e del FSB (i servizi segreti della Russia post-sovietica), nato a Leningrado nel 1952, cintura nera di judo, Putin è stato eletto presidente il 26 marzo 2000.
Abilissimo manovratore, esperto nel dare un colpo al cerchio ed uno alla botte, è riuscito a conciliare, ancora una volta, i veterozaristi ed i neocomunisti. Il 6 dicembre 2000 ha fatto approvare, dal Parlamento, l’ufficializzazione definitiva, come emblema del Paese, del tricolore russo prerivoluzionario, bianco, rosso e azzurro, con l’aquila imperiale a due teste, in sostituzione della bandiera rossa, con falce e martello. E come inno nazionale, ha rispolverato quello sovietico d’epoca staliniana, corredato di nuove parole, che non inneggiano più a Lenin e a Stalin.
Nella seconda metà del 2000, la Russia è stata sconvolta da due terribili vicende. L’8 agosto, è scoppiata una bomba nella stazione della Metropolitana, della centralissima Piazza Puskin di Mosca. Il 12 agosto, il sottomarino atomico “Kursk” è scomparso negli abissi del Mare di Barents.
A partire dal 2001, pare però che abbia voltato pagina e sotto la guida di Putin ha intrapreso la via, tutta in salita, della modernizzazione e del rilancio economico. Non a caso si assiste ad una consistente crescita economica, grazie anche alla crisi mondiale del petrolio e all’impennata del prezzo del greggio; ciò ha provocato la conseguente richiesta di petrolio e gas metano, di cui il Paese è ricchissimo. A tal proposito, è da ricordare come nei primi giorni del 2006, sul problema del gas, è sorta una grave crisi con l’Ucraina, sul cui territorio passa uno dei numerosi oleodotti russi, provenienti dalla Siberia. Ancora più radicali ed intransigenti sono state le scelte fatte da Putin nei confronti della Cecenia. La pace, in quella terra martoriata, è ancora lontana.
Si assiste ad un ritorno della “dershava” sovietica, la “Grandeur à la sociètique”, incoraggiata da Putin che propone alla nazione “un modello di Russia orgogliosamente indipendente e nazionalista”.

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