Le regole fondamentali del Diritto Internazionale Umanitario

Il filosofo elvetico Jean-Jacques Rousseau, nel IV capitolo del I libro del suo Du contrat social: ou principes du droit politique (Sul contratto sociale: o principi di diritto politico) del 1762, scriveva che la guerra non rappresenta un rapporto individuale ed esclusivo tra esseri umani, ma un confronto avverso tra due o più Nazioni: gli atteggiamenti ostili dei soldati in un conflitto costituiscono fatti casuali in relazione allo status di combattente e non in quanto persone o popolazione. Riguardo la legittimità e i limiti dell’uso delle armi, lo scrittore svizzero sostiene che, essendo il fine degli scontri il disfacimento dello Stato antagonista, è motivato e giustificato privare della vita coloro che lo tutelano in armi: però terminato l’utilizzo dei mezzi di offesa o di difesa da parte di questi ultimi in segno di resa, non si ha più alcun titolo o potere sulla vita altrui, in quanto non più rivali e avversari, bensì persone ed individui del genere umano. Rousseau fu dunque un pioniere del moderno Diritto Internazionale Umanitario, che si basa su una serie di norme e principi basilari così riassumibili: Umanità, Simmetria, Distinzione, Proporzionalità e necessità militare, Precauzione. Il Principio di Umanità è conosciuto anche come “Clausola Martens”, nozione inquadrata nel Preambolo della Seconda Convenzione dell’Aja del 1899 sulla consuetudo secundum legem della guerra terreste e sull’adeguamento delle norme della Convenzione del 1864 alla guerra marittima: lo ius gentium tutela la popolazione e i soldati sulla base della naturalis ratio, cioè sugli usi normativi “costanti ed uniformi”, il valore morale dell’humanits, e i principi del discernimento e del giudizio. Il Principio di Simmetria riconosce il presupposto di parità tra i belligeranti di un conflitto armato: sia all’aggressore che all’aggredito devono essere garantiti i medesimi dettami del corpo legislativo stabilito dal Diritto Internazionale Umanitario. Il Principio di Distinzione sancisce il criterio che chi si trova in stato di belligeranza, deve calibrare il suo operato vagliando e distinguendo sempre tra borghesi e combattenti, beni culturali e obiettivi sensibili militari: il fine motivato dalle circostanze di guerra è svigorire le strutture militari e i coscritti nemici, quindi, se deliberatamente si accentuano le condizioni di patimento degli avversari “fuori combattimento” procurando sofferenze morali, fisiche o persino la morte, la condotta è considerata comportamento antigiuridico e di conseguenza un illecito. Tale assioma è stato ribadito ed approfondito successivamente nei Protocolli aggiuntivi imponendo il fine della conduzione delle operazioni belliche solo ed esclusivamente verso bersagli militari. Il Principio di Proporzionalità e necessità militare ribadisce che colui che è al comando di un’operazione bellica ha l’obbligo di stimare se un attacco possa arrecare un beneficio tangibile e reale in riferimento a perdite e danni, sia militari che civili. L’azione offensiva deve essere proporzionata al vantaggio militare effettivo che ne consegue: qualora la valutazione dell’attacco possa far pensare ad uno sproporzionato danno collaterale a discapito di borghesi o beni non militari, è obbligatorio desistere dall’intento in quanto infrazione del DIU: un danno collaterale è giustificabile e conforme alle Leggi se la conseguenza ottenuta è maggiormente rilevante e significativa rispetto al nocumento arrecato, tenendo sempre in giusto conto il criterio di limitazione sui mali superflui e sulle sofferenze inutili. Tale fondamento pone il veto sull’uso di armamenti, materiali e apparati bellici creati per realizzare lesioni smodate e ferite sproporzionate, come i dispositivi laser elettro-ottici, i proiettili ad espansione o armi a frammentazione. Il Principio di Precauzione impone che le attività relative agli scontri militari siano gestite con modalità attente e mirate alla tutela di civili e beni non militari.

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