Sssst… sono commercianti di maiali (1a parte)

La morte si sa, è uguale per tutti. Ma si sa anche, che non tutti sono uguali davanti alla morte. Questione di umori, perchè la morte, c’è modo e modo di accoglierla, c’è modo e modo di guardarla in faccia. Lo stile è tutto qui. E’ su questo punto che gli uomini si differenziano.
Tali furono gli uomini dei mezzi d’assalto della Regia Marina italiana che, tra il 1940 ed il 1943, squarciarono gli scafi della flotta più potente del mondo. Trentenni dallo sguardo limpido, dalla respirazione ampia e pulita, nei polmoni e nell’anima. Credevano in Dio, nella Patria, nel valore del sacrificio, nelle lacrime delle donne. Forti e gentili, bei ragazzi, inutilmente amati ed invidiati. Avrebbero potuto fare felici le loro compagne: se le trascinarono dietro col cardiopalma e tolsero sonno ed appetito agli uomini dell’Ammiragliato britannico.
Un centinaio o poco più. A vederli, non avevano nulla di diverso dai loro coetanei. Sicuramente un tratto lo avevano: la lealtà. Ed un altro ancora: l’umiltà. Provenivano da tutte le contrade d’Italia, dalle città, dalle campagne. L’ardimento, si sa, non ha mai avuto né latitudine né classe sociale. Fu, però, un ardimento nuovo, che l’Europa ed il mondo vedevano per la prima volta. Avevano ben poco in comune con la flemma dell’eroe inglese o con l’alterigia del superman tedesco. Non furono dei superuomini. Furono forse qualcosa in più, furono degli uomini e furono dei soldati.
In un ristorante di Livorno, sentendoli confabulare tra loro, qualcuno, seduto nei paraggi, disse: “Ssst….sono commercianti di maiali”. Sì, commercianti, anzi operatori di maiali, ma di maiali pieni di tritolo.
Nel luglio del 1939, la situazione internazionale si aggravò. Nell’eventualità di un conflitto europeo, con un comunicato, lo Stato Maggiore della Marina affidò, alla I Flottiglia MAS di La Spezia, l’incarico di intensificare l’addestramento all’impiego di alcuni mezzi speciali, appunto dei “maiali”.
L’invenzione del “maiale” risaliva a qualche anno prima. Era esplosa nella mente di uno strano tipo. Il suo nome era Teseo Tesei, un impasto di santità e di audacia, uno di quegli esseri che la natura sforna ogni cento anni.
Anima inquieta, ribelle, dominatrice, Tesei era nato a Marina di Campo, una ridente località dell’Isola d’Elba, il 3 gennaio del 1909, ultimo rampollo di una famiglia benestante. Educato dai Padri Scolopi di Firenze, era poi entrato all’Accademia Navale di Livorno. Si presentava di media statura, tutto gambe e nervi. Dal nonno, armatore, aveva ereditato la passione per la vela. Durante il Corso da Ufficiale, fu il “gabbiere” (marinaio specializzato nel salire sui pennoni degli alberi delle navi per la manovra della vela) più spericolato. In Accademia conseguì la laurea in ingegneria navale.
Vennero i tempi del conflitto etiopico: 1935. Le possibilità di una guerra con l’Inghilterra non sembravano impossibili. Tesei era convinto che bisognasse inventarsi qualcosa e pensò ad un suo compagno di corso, Elios Toschi, anche lui Capitano del Genio Navale, con le stesse ambizioni e lo stesso amore per il mare. I due avevano un comune concetto ispiratore. Progettare un’arma che avesse delle caratteristiche innovative, come innovativa decise di essere la stessa Marina Militare dopo il 1918, con la trasformazione di navi e mezzi di difesa. Serviva un mezzo che permettesse a due uomini (un pilota ed un aiutante) di navigare, dirigersi sul bersaglio ed attaccarlo, stando sempre in immersione. L’idea, che forse da tempo giaceva allo stato embrionale nella mente dei due ufficiali, esplose all’improvviso: un siluro. La nuova arma subacquea dei mezzi d’assalto della Marina, chiamata “maiale”, sarebbe stata simile ad un minuscolo sommergibile, a propulsione elettrica, governata da una cloche del tutto uguale a quella degli aerei. Ma con una novità: il personale avrebbe navigato al di fuori del mezzo, “cavalcando” il piccolo sottomarino, agile, veloce, manovrabilissimo, protetto dall’urto frontale dell’acqua da uno schermo ogivale di vetro plastico (una specie di plexiglass), guidato da apparecchi fosforescenti di navigazione e sciolto dalle strutture di acciaio. Una volta raggiunto il fondale marino in prossimità dell’obbiettivo da colpire, l’equipaggio avrebbe potuto innescare gli ordigni, avanzare a nuoto, posizionare le cariche sul bersaglio ed allontanarsi celermente con il “maiale”. Gli operatori sarebbero stati in grado di tagliare reti, sollevare ostacoli con strumenti ad aria compressa, superare qualsiasi ostruzione ed arrivare dovunque.
Il nuovo mezzo avrebbe goduto di grande autonomia, navigando sott’acqua a quote variabili, fino ai trenta metri, trasportando, all’interno dei porti nemici, pesanti e potenti cariche di esplosivo. Avrebbe potuto, in definitiva, manovrare fino a raggiungere la carena di qualche grande unità, assicurandovi la carica che poi l’avrebbe fatta saltare in aria. Lo spunto per questo progetto lo aveva dato la “Torpedine Semovente Rossetti, anche nota come “Mignatta”, mezzo d’assalto semisubacqueo, progettato nella 1^ Guerra Mondiale dal Maggiore del Genio Navale Raffaele Rossetti che, spinta da una propulsione ad aria compressa, fu utilizzata il 1° novembre 1918 per affondare, nel porto di Pola, la Corazzata austriaca “Viribus Unitis”.
Il tutto era, però, subordinato alla soluzione di un problema fondamentale: il respiratore. Teseo Tesei non lo ignorò fin dall’inizio. I limiti della maschera “Davis” gli erano perfettamente noti. Questo autorespiratore, dal nome di uno dei suoi due ideatori, Sir Rober Davis e Charles “Swede” Momsen, era costituito da un sacco polmone in lattice, che riutilizzava il gas respirato dal subacqueo, una volta filtrato da calce sodata, con una capacità di utilizzo di soli pochi minuti.
Tesei chiese di poter frequentare un corso da palombaro, proprio per meglio rendersi conto delle possibilità di una navigazione subacquea senza la protezione di uno scafandro. Possibilità davvero scarse. Ma, con un duro e pericoloso lavoro di sperimentazione ed alcuni suoi accorgimenti, finalmente la funzionalità della maschera fu portata da venti minuti a qualche ora. Rimaneva, comunque, il dubbio se una lunga respirazione in ossigeno, potesse essere fisiologicamente sopportata. Si ritenne di sì. Per un massimo di due ore e mezzo o tre; non certamente di più. Il progetto potè così decollare. Una curiosità: il nomignolo “maiale”, nacque nel corso di un’esercitazione notturna. Si racconta che Tesei disse al suo secondo: “Dai, lega il salame, se no se lo porta via la corrente”. Da salame a maiale, il passaggio fu spontaneo ed immediato.

Continua dell’edizione di domani

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