Antonio Anatriello, EUTANASIA DI UN CREDENTE- Proiezione in una situazione di malato terminale

Mons. Giuseppe Leone, persona squisita e mio amico, che mi onora, in compagnia del comune amico Mimì Zona, di frequenti e attese visite serali (ciò avveniva prima dell’emanazione dei provvedimenti che hanno disposto il distanziamento sociale causa il covid-19) e spesso le impreziosisce con il dono di qualche gradita “primizia”. Nell’ultima visita mi ha fatto dono, con l’affetto e la disponibilità che lo contraddistingue, di due stupendi libri: CONOSCERE LA BIBBIA di Silvia Zanconato ed EUTANASIA DI UN CREDENTE – Proiezione in una situazione di malato terminale di Antonio Anatriello. La lettura del primo libro ha costituito un’occasione di approfondimento e di guida per quanto attiene al testo sacro della Bibbia cristiana che è suddiviso in due parti chiamate rispettivamente Antico e Nuovo Testamento e la lettura del secondo ha generato momenti di intensa riflessione in merito al drammatico “fine vita” trattato, con delicatezza ma con realtà “disarmante” da Antonio Anatriello. Questi nasce a Frattamaggiore (NA) e dopo un’adolescenza lontana dalla Chiesa e dalle attività che questa pone in essere, in gioventù si innamora del Vangelo e dopo poco tempo è alunno del Seminario di Aversa e poi di quello di Posillipo e nel 1974, all’età di 25 anni, viene ordinato presbitero. Nel 1979 viene sospeso “a divinis” perché si rifiuta di ritrattare alcune critiche espresse in una lettera pubblicata dal “Roma” e da “Paese Sera” sull’autoritarismo del Papa e lascia il sacerdozio, ma non la Chiesa e, per un anno, lavora come operaio in una fabbrica in provincia di Varese. Laureato in Teologia e in Sociologia, nel 1985 è vincitore di concorso a cattedra – disciplina Economia Aziendale – e assegnato all’Istituto Tecnico Commerciale “G. Filangieri” di Frattamaggiore nel quale insegna fino al 2010, anno del suo collocamento in quiescenza.
In collaborazione con la moglie (Rosa Anatriello) pubblica nel 1995 “Dialoghi familiari nel senso della vita”; nel 1999 “Eutanasia per un credente”; nel 2008 “Dio al di là della gerarchia”; nel 2013 “Flash su versetti biblici”; nel 2015 “Il prete e la rosa”, storia tra un prete e una donna raffinata e delicata, oltre che bella, che con candore, coraggio e rettitudine era entrata nella sua vita. Meritano di essere citati anche alcuni suoi scritti inediti: “Un Dio sussurrato”, “L’usignolo è tornato a cantare”, “Fanatismo e follia”, “99 giorni da assessore” e “Il cinismo di un’ispettrice di P.S.”.
Antonio Anatriello, nel suo ultimo lavoro, 2019, “EUTANASIA DI UN CREDENTE”, assume le vesti di un credente affetto dal male “senza soluzione” e descrive, con soffice delicatezza e cruda realtà, il sorgere della malattia tumorale, la presa d’atto e la gestione della stessa. In uno scorrere veloce di situazioni presenta il “dramma” che troverà la sua conclusione con la morte, “lenta” e “divoratrice”, di una persona che ha fiducia in Dio e si chiede: “ma che Dio è se vuole la mia sofferenza?”, e confessa, senza mistificazioni ascetiche, “non ce la faccio più, e desidero soltanto anticipare un po’ il mio pacificante abbraccio con l’Eterno, visto che ci credo” e “non penso che il Dio immensamente in cui credo ritenga necessario questo tipo di sofferenza a scopo di purificazione”. La malattia è sempre più inarrestabile, i dolori sono sempre più intensi, le compresse e le iniezioni più frequenti e si domanda di nuovo “fino a che punto ha senso prolungare la sofferenza in una tale situazione e ho io il diritto di porre fine alla mia vita o di chiedere ad un altro di farlo per me?”. Passano i giorni i dolori e le sofferenze aumentano sempre di più e la decisione viene presa e scrive “Carissimi miei, e carissimi quelli che avranno avuto modo di leggere questo racconto, scrivo quel che segue finché mi assiste la piena lucidità mentale e la capacità della mano di obbedire ai comandi del mio pensiero. (…) Con profonda serenità, umana e di fede, dato il mio stato di malato inguaribile, ho deciso io di porre fine alla mia vita terrena; e non riesco a immaginare che Dio, quel Dio Grande e Buono del Cristianesimo, possa guardarmi accigliato e indispettito per questo mio gesto estremo. Con tutto il rispetto dovuto verso i tanti credenti che la pensano diversamente, confido che Dio mi accoglierà non come un uomo superbo che Gli ha “buttato in faccia” la vita donata, ma come un uomo semplice, forse ardito (ma l’ardimento non è un peccato) che, divenuto troppo sofferta la fase ultima della sua vita, vi ha posto fine per “anticipare” in qualche modo il suo incontro con Lui.
Pensino pure altri credenti che la sofferenza va offerta a Dio e che è vigliaccheria porre fine alla propria vita per evitarla. Io non penso che Dio abbia “bisogno” dell’offerta della nostra sofferenza; sono convinto che la sofferenza va combattuta, evitata e, quando ciò non sia possibile, va dignitosamente sopportata finché la sopportazione accompagna un percorso di possibile guarigione; ma mai va “amata” per poterla “offrire” a Dio e, in assenza di speranza di guarigione, si può farla cessare con l’atto estremo di porre fine alla vita biologica.
Ecco: con questa serena convinzione mi accingo ad approdare sull’altra … sponda del fiume della vita, nella Speranza, appunto, di incontrare la Vita e non il Nulla, oppure, come pensano in modo suggestivo anche molti non credenti, incontrare il … “Grande Forse”.
In appendice al libro le considerazioni di Don Fernando Angelino, già Direttore dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Aversa, che scrive “La sofferenza è dentro il senso dell’esistenza umana. Il problema del soffrire e del morire, perciò, non può essere risolto con un approccio tecnico-scientifico, anche se utile e importante. Esso richiede orizzonti di senso, che non sempre riescono ad annullare la drammaticità”. Don Angelino nella sua attenta e profonda disamina si chiede “Esiste un diritto alla morte come esiste un diritto alla vita?” e la sua risposta è chiara ed univoca “Il diritto alla vita è nativo e inviolabile”. (…) Non esiste, invece, un diritto individuale a morire. Il fine della vita non è il massimo di benessere individuale che identifica la felicità con l’assenza di ogni forma di sofferenza”. Il libro viene chiuso dalla postfazione di Geppo Tranchini SJ, già formatore di candidati al ministero presbiterale, che scrive “Il contenuto del racconto è un argomento che appassiona e insieme turba. Perché ci riguarda tutti, come uomini e come credenti. Tocca il mistero dell’uomo e ci riporta al mistero di Dio” (…) e conclude “Penso che non siamo in grado di dare un giudizio concreto sull’eutanasia voluta da una persona. Lasciamo alle singole persone la libertà delle loro scelte. Dio Creatore così fa. Credo che avremo molte sorprese quando, dopo la nostra morte, entreremo nell’eternità, nella luce di Dio, e capiremo il senso che ora ci sfugge, di tanti avvenimenti. Penso anche, più in generale, che sia venuto ormai il tempo di liberare la fede cristiana dai numerosi e pesanti condizionamenti della filosofia greca e del diritto romano. Chiediamoci sinceramente e semplicemente come Gesù avrebbe risposto a certi quesiti che ci pone la realtà di oggi. Che cosa Gesù avrebbe detto a te delle idee contenute nel tuo racconto? Se riusciamo ad immaginarlo senza pregiudizi non saremo lontani dal regno di Dio, per dirla secondo il suo linguaggio. (…)”.
L’autore nel retro della copertina scrive “(…) Potrà il racconto contribuire a rasserenare quelli che, malati o loro familiari (credenti o non credenti), si trovino a vivere un tale travaglio, generalmente caratterizzato da domande angosciose e incontrollabili sensi di colpa? Ad essi è dedicato il presente racconto …”.

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