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La questione albanese

La fine del 1914 e gli inizi del 1915 furono per l’Albania uno dei momenti più travagliati della sua storia, sempre complicata.
Guglielmo di Wied, Ufficiale della Guardia Prussiana, fu dalla Triplice Alleanza designato come sovrano di quello Stato indipendente. Per la parentela romena e la nazionalità tedesca dava affidamento di fedeltà alle grandi potenze e come luterano, sembrava naturalmente destinato a mantenersi neutrale nelle contese religiose tra cattolici, greco-ortodossi e musulmani. Accettò la corona il 6 febbraio 1915, salendo al trono il 7 marzo, col titolo di Principe. Ma rivelatosi incapace di dominare la difficile situazione politica, il 3 settembre lasciò Durazzo, lasciando quelle terre in preda alla più assoluta anarchia. Molti gli Stati che, a quel punto, si contendevano il territorio albanese. Oltre ai Turchi ed ai Greci, si aggiungevano varie tribù indigene, divise da secolari diversità di costume e di religione.
In quel clima così caldo, entrò in gioco l’Italia. Fu certamente un coinvolgimento politico, ma rivestì un importantissimo ruolo sociale ed umanitario. Gli italiani non potevano rischiare di lasciar cadere nelle mani austro-ungariche, già coinvolte nel conflitto, la sponda balcanica dell’Adriatico ed il Canale d’Otranto. La cosa avrebbe letteralmente paralizzato le forze navali che operavano nella zona orientale. Quando l’Italia decise di intervenire, le Grandi Potenze non si opposero, anzi accettarono di buon grado, ravvisando in ciò, per il momento, la risoluzione di un gravoso e fastidioso problema. Il 9 dicembre 1915 sbarcò a Valona il Corpo di Spedizione Italiano. Comandato dal Generale Emilio Bertotti, era composto dal 10° Reggimento Bersaglieri a pieno organico, da alcuni Reparti adibiti ai servizi logistici e sanitari e da una Sezione di 20 Carabinieri, il cui comandante assunse subito le funzioni di Direttore di Polizia. Bisognava ristabilire immediatamente il controllo dell’ordine pubblico, compito assai complicato e di non facile risoluzione. Oltre a ciò, si aggiunse una nuova complicazione: l’arrivo dell’ex-esercito serbo, in fuga dagli Austriaci, dai Tedeschi e dai Bulgari, costretto a scendere, attraverso le montagne, verso il Mare Adriatico. La presenza del Re Pietro, trasportato febbricitante su di un carretto trainato a mano, non contribuì minimamente a galvanizzare la sbandata massa di fuggitivi, concentrati nella zona di Durazzo e di Valona (contro la quale si scatenò la rappresaglia delle bande albanesi che fecero massacro dei gruppi isolati, per togliere loro armi e vestiti) e, nel gennaio, imbarcati sui mercantili italiani, per essere trasferita nell’isola greca di Corfù. E’ facile comprendere come in un simile caos, tra miseria e malattie, l’operato dei Carabinieri, in particolare, il cui organico crebbe con l’andar del tempo e delle esigenze, risultasse assai prezioso. Spettava soprattutto a loro mantenere l’ordine e la calma. In una sola parola, gestire tutti i servizi di Polizia. Il 2 dicembre 1916 fu istituito un Comando Carabinieri, affidato al Maggiore Giuseppe Borgna, che già da qualche tempo si trovava in Albania, per incarichi speciali e coperti dalla massima riservatezza. Per la fine dello stesso anno furono impiantate Stazioni in tutta la provincia di Valona e, negli anni seguenti, l’organico dell’Arma crebbe ancora. I suoi Comandi si allargarono, a macchia d’olio, in tutto il territorio, da Argirocastro a Janina.
Nel frattempo, la guerra andava avanti. Nel marzo 1916, il Corpo Speciale italiano in Albania si trasformò nel XVI° Corpo d’Armata, al comando del Generale Settimio Piacentini (1859-1921). Tutte le forze italiane furono impiegate in un compito estremamente duro: chiudere il vuoto esistente tra i due fronti, quello albanese e quello macedone, nel quale scorrazzavano le bande armate greche e musulmane. Nel febbraio 1917, il valore italiano arrivò a chiudere questo pericoloso corridoio e a formare un fronte unico. Nel 1918, una vigorosa offensiva spinse le truppe italiane sensibilmente in avanti, portando il fronte sui monti della Malakstra, fino a quel momento saldamente tenuti dagli austriaci. E si sarebbero spinte ancora oltre, se fossero state minimamente aiutate da quelle francesi, alleate ma rimaste imbottigliate dal nemico.
Con il profilarsi del crollo delle Potenze Centrali, tutta l’Armata d’Oriente avanzò, il fronte bulgaro fu rotto e gli italiani in Albania ripresero vigorosamente ad avanzare verso Nord e verso la costa. Il 3 novembre 1918, il Comando del XVI° Corpo d’Armata era a Scutari.
E’ doveroso ricordare che, in quattro anni di guerra in quell’area, il prestigio e l’autorità dei Carabinieri era visibilmente cresciuta. La forza organica dell’Arma contava, nel 1918, 40 Ufficiali, 1337 uomini di truppa e 210 aggregati da altre armi, su 3 Comandi, 21 Sezioni con servizio territoriale, 3 Direzioni di Polizia e 102 Stazioni. In seguito questi nomi furono cambiati con quelli di Divisioni, Compagnie, Tenenze e Stazioni. Sempre su iniziativa dei Carabinieri, furono costituiti il Corpo di Polizia Indigena e la Gendarmeria. Nascevano sulle basi di un Corpo di Polizia albanese, composto da pochissimi uomini senza scrupoli e male istruiti, usati più che altro dalle varie fazioni per particolari interessi personali. Il contingente italiano liquidò quegli uomini e ne formò un nuovo, con elementi scelti che costituirono il “trait d’union” fra i Carabinieri e la popolazione locale, disimpegnando le normali funzioni di Agenti di P.S.. La Gendarmeria locale, organizzata dal Maggiore Borgna, riscosse l’ammirazione vivissima degli stessi albanesi, presso i quali non era ancora esistito un reparto del genere. I Gendarmi, dopo un periodo di istruzione, vennero affiancati ai “colleghi” italiani.
E così bene funzionò questa collaborazione, che il governo locale, nel 1919, una volta terminato il conflitto chiese, degli Istruttori italiani per mantenere e rinforzare la Gendarmeria locale. Infatti, sotto la guida del Tenente Colonnello Ridolfi furono istituiti cinque battaglioni che godevano di una propria autonomia e giurisdizione. Furono necessari otto mesi di faticoso impegno per trasformare quegli uomini rudi, mai abituati prima a sottostare ad una salda disciplina, in un corpo regolare. I frutti si ebbero nell’ottima riuscita fatta da questi uomini nel nuovo caos che sommerse l’Albania, alle partenza delle truppe italiane. Il fatto che il Paese fosse al sicuro e che i soldati vigilassero dovunque su di una popolazione, ormai sana e lavoratrice, garantendo ordine e giustizia, non bastò ad evitare che la propaganda ostile all’Italia iniziasse ovunque.
La Pace di Versailles aveva sì confermato al nostro Paese il diritto di occupare l’Albania e garantire la neutralità, ma le concessioni territoriali che si credette opportuno fare alla Grecia ed alla Serbia, in contrasto con la promessa di un’Albania unita ed indipendente sotto il controllo italiano, fece sorgere grandi diffidenze, abilmente fomentate, contro l’Italia. L’On. Giolitti, Capo del Governo, fu costretto, nell’estate del 1920, ad ordinare l’evacuazione del Contingente. Lo sgombero dei militari si svolse, non solo con grande dignità, ma spesso con episodi di particolare eroismo. Si hanno esempi di fulgido valore dimostrato da uomini e reparti rimasti ancora esposti ai soprusi di una popolazione ormai in rivolta. Basti ricordare, per tutti, i Carabinieri Serra e Selvaggio che sostennero una feroce battaglia contro i ribelli, rifiutando di arrendersi, fino all’estremo sacrificio. Questo e tanti altri atti di valore, a sgombero avvenuto, lasciarono, in quella terra, il ricordo ed il riverente timore della fermezza e dell’audacia degli Italiani.

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