La leggenda dei cieli, scomparsa in mare

“KHAQQ” chiama Itasca (il nome della stazione radio, a bordo di un cutter della Guardia Costiera statunitense). Dobbiamo essere sopra di voi, ma non riusciamo a vedervi. Il carburante sta finendo, però. Non siamo riusciti a raggiungervi via radio. Stiamo volando a mille piedi (300 m. circa). Non riusciamo a sentirvi. Fate delle segnalazioni a vista, in modo che possiamo dirigere su di voi”.
La voce, quasi metallica, che risuona forte e chiara è quella di una donna. L’uomo che ascolta questo messaggio, il Comandante dell’Itasca, Leo Bellarts, non sospetta affatto che quello che sta ricevendo è l’ultimo contatto, il messaggio di addio dell’aviatrice più famosa del mondo.
Sono le 7.42, ora del Pacifico, di venerdì 2 luglio 1937. Passano quindici minuti ed è lo stesso Leo Bellarts a comunicare a terra: “Amelia Earhart è scomparsa, perdendosi misteriosamente insieme al copilota Frederick Noonan”.
L’aereo precipitò, tra le 35 e le 100 miglia, al largo dell’isola Howland (dove sarebbe dovuto atterrare), atollo disabitato, poco a nord dell’Equatore, nell’Oceano Pacifico. La notizia si sparse immediatamente in tutto il mondo. Non furono sufficienti le nove navi e i sessantasei aerei (per un costo stimato di circa 4 milioni di dollari), inviati dal Presidente Rooselvelt , per ritrovare Amelia Earhart. Le ricerche vennero interrotte il 18 luglio, dopo aver setacciato una superficie di 250.000 miglia quadrate di oceano.
Lei era entrata nella leggenda già dal 17 giugno 1928, quando all’età di 31 anni, aveva attraversato in aereo l’oceano Atlantico. L’America le ha dedicato piazze, statue, francobolli e film. Dopo il successo di un’altra trasvolata, questa volta in solitaria, nel 1932, Amelia visitò l’Europa, dove venne accolta con gli onori riservati ai Capi di Stato. A Roma, incontrò Benito Mussolini e Italo Balbo. Quest’ultimo, si ispirerò proprio a lei per la sua impresa atlantica. A 40 anni, voleva essere la prima donna a compiere il giro del mondo in aereoplano.
Lady Lindy, così veniva soprannominata, per assonanza a Lindbergh, era nata a Atchison, in Kansas, nel 1897. Nel 1920, anno in cui, tra l’altro, venne emanato l’emendamento che negli Stati Uniti consentiva il voto alle donne, all’età di 23 anni, si recò col padre a un raduno aeronautico presso il Daugherty Airfield di Long Beach, in California e, pagando solo un dollaro, salì per la prima volta a bordo di un velivolo, per un giro turistico di dieci minuti sopra Los Angeles. Quello fu il momento dell’amore per il volo, il colpo di fulmine, l’attimo in cui decise di diventare pilota.
Erano anni difficili per il mondo femminile, ancor di più per un’aviatrice. Dai voli dei fratelli Wright, che duravano solo pochi minuti, gli aerei, in quegli anni, erano già in grado di trasvolare i mari, di trasportare carichi e di sganciare bombe. Amelia cominciò a frequentare, con assiduità, lezioni di pilotaggio e, a un anno di distanza, conseguito il brevetto, con l’aiuto della sua famiglia, riuscì ad acquistare un piccolo biplano, con il quale avrebbe stabilito poi il primo dei suoi record femminili, salendo fino ad un’altitudine di 14.000 piedi (4300 m. circa).
La sua determinazione la portò, prima in assoluto dopo Charles Lindbergh, a compiere la trasvolata atlantica. Impiegando 14 ore e 56 minuti, a bordo di un Fokker F.VII, chiamato “Friendship” (amicizia), Lady Lindy volò da Terranova a Londonderry, in Irlanda del Nord. Per lei gli onori non finirono qui. Sempre più decisa e con l’intento di arrivare dove altri avevano fallito, diventò la prima donna ad attraversare l’oceano Pacifico, da Oakland, in California, a Honolulu nelle Hawaii.
Giovane, bella, acclamata dalla stampa e sponsorizzata dall’allora recente industria dell’aviazione civile, che sfruttò la sua immagine per attirare il pubblico femminile, aveva tutte le carte in regola per entrare nel mito. Ma a consacrarla per sempre fu la sua misteriosa scomparsa, ai comandi del suo aereo, nell’intento di compiere quell’ultimo scalo, prima di completare il suo giro del mondo. Arrivò vicinissima, ma non vi riuscì.
Della sua fine si continuò a parlare per anni e nacquero, con essa, numerose leggende. Su Lady Lindy si ipotizzò persino che fosse un agente segreto al servizio degli Stati Uniti d’America, catturata dai giapponesi e giustiziata; o che l’aereo non si fosse inabissato nell’oceano, ma che l’aviatrice avesse finito i propri giorni su un’isola deserta, dopo un atterraggio di fortuna.
Ed è quest’ultima, l’ipotesi più accreditata, avvalorata dal ritrovamento, avvenuto tre anni dopo la sua scomparsa, da parte di un funzionario britannico, sull’isola di Nikumaroro (nell’odierna Repubblica di Kiribati, a nord dell’Australia), in un luogo dove sembrava esserci stato un accampamento, di una suola di scarpa, dello stesso tipo indossato da Amelia, di una bottiglia di whisky americano, di una scatola vuota, sicuramente contenitore di un sestante, e di ossa umane.
La svolta fu nel 1997, quando alcuni esami confermarono che i resti appartenevano a una donna ma, mistero nel mistero, scomparvero.
Nel 2009, Hillary Swank, vincitrice di due premi Oscar, vestì i panni i Amelia, nel film, omonimo, a lei dedicato.
E’ di questi giorni, la notizia che una spedizione americana, capeggiata da Ric Gillespie (autore del libro “Finding Amelia“), cercherà di far luce sulla fine di Lady Lindy.
Il faro dell’isola di Howland, porta ancora la scritta “Luce di Amelia Earhart”, perché il suo nome e la sua storia continuano ad affascinare, a stupire e ad alimentare quella meravigliosa favola che è stata il suo breve passaggio sulla Terra.

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